Glocal di Ernesto Pappalardo
L’intervento del direttore della Svimez Riccardo Padovani nel corso di un convegno nei giorni scorsi a Rende.Fiscalità “compensativa” per il Sud Lo strumento operativo? Le Zone Economiche Speciali (Zes), che, come ha dimostrato il caso della Polonia, offrono molte potenzialità in termini di attrazione degli investimenti esteri.
Nelle ultime settimane si è intensificata – sebbene fosse davvero difficile riuscirci – la confusione che ormai regna sovrana in materia di politiche di rilancio dell’economia meridionale. Le analisi e le interpretazioni si sprecano. I numeri e le statistiche pure. La polemica partitica non ammette tregue e le campagne elettorali anche quando sembrano lontane, in realtà finiscono per generare un permanente approccio propagandistico che non consente (se non raramente) di guardare allo stato delle cose con quello sguardo lungo ed ampio che, invece, è l’unico in grado di immaginare soluzioni non effimere, ma strutturali. Perché bisogna rendersi conto che le problematiche da affrontare si sono tramutate – nei lunghi anni della crisi – in criticità strutturali, avendo generato un mutamento sostanziale delle condizioni di contesto del sistema produttivo del Sud.
Le considerazioni del direttore della Svimez Riccardo Padovani - contenute in un suo intervento del 16 settembre scorso a Rende - mettono al centro la questione sostanziale che abbiamo di fronte: il recupero di una “logica di sistema per il rilancio competitivo del Mezzogiorno e del Paese”. Perché la verità è che ad alimentare la confusione di cui si diceva prima risulta principalmente la mancanza di coordinamento tra i vari strumenti di governo del territorio e prim’ancora tra le diverse politiche che dovrebbero ispirare interventi tra di loro coerenti. Padovani su questo aspetto è di una chiarezza esemplare. “E’ necessario - si legge nella sintesi del suo intervento reperibile sul sito svimez.it - aver chiaro il nesso tra politiche speciali e aggiuntive e politiche ordinarie, che sono i due pilastri di una strategia complessiva. Insomma, la rinnovata politica di coesione deve essere un tassello – fondamentale, ma certo non sufficiente – di una strategia volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale. Ma è soprattutto la logica complessiva, di sistema, che occorre recuperare. Da tempo, infatti, è proprio questa che è venuta meno. Occorre insomma, un complesso di politiche e di interventi legati da un’unica strategia di sistema, in cui gli interessi del Mezzogiorno – che resta la grande opportunità da cogliere per riavviare un percorso di sviluppo dell’economia italiana – siano coniugati in una prospettiva che guardi al riposizionamento competitivo dell’intero Sistema Italia”.
Ecco perché è bene sottolineare cosa sta accadendo da troppo tempo: mentre è del tutto carente l’attività ordinaria del Governo, si insiste sulla valenza di quelle che dovrebbero essere risorse speciali ed aggiuntive, dimenticando che i numeri sono impietosi e confermano come la spesa negli anni della crisi abbia penalizzato eccessivamente il Sud. Al punto che diventa assolutamente riproponibile - come unica, pratica e valida strada percorribile in tempi relativamente brevi - la realizzazione di una fiscalità compensativa e non (in queste condizioni) di vantaggio. Padovani entra nel merito anche di questa sostanziale questione. “In attesa di un’armonizzazione delle politiche fiscali (in ambito Ue, ndr), che non è prevedibile, purtroppo, arriverà a breve - spiega - occorre infatti puntare sulla predisposizione di adeguati strumenti di fiscalità di compensazione, basandosi sul calcolo puntuale di vantaggi e svantaggi, pregressi e futuri, di cui l’attribuzione attuale dei fondi strutturali europei tra Paesi non tiene conto”. Chiaro anche lo strumento da mettere in campo. “A fronte della complessità di questa revisione, un ambito di intervento percorribile in tempi brevi - dice, entrando nel merito della proposta - può essere rappresentato dallo strumento operativo delle Zone Economiche Speciali (Zes), che ha mostrato, soprattutto nel caso della Polonia, tutte le sue potenzialità in termini di attrazione degli investimenti esteri. È un’opzione, peraltro, in base alla normativa vigente, che non prevede un ruolo essenziale della Commissione Europea all’interno della procedura di costituzione: l’Italia può farlo di sua iniziativa, e pensiamo alle potenzialità che questo strumento avrebbe, ad esempio, nelle aree logistiche portuali del Sud, su cui investire e rilanciare”.
Solo in questo contesto può assumere un senso più concreto riattivare le politiche industriali – su base regionale – ed intervenire in maniera più funzionale sull’attenuazione del rigore nella concessione del credito, oltre che - naturalmente - rimettere finalmente in moto la macchina degli investimenti pubblici armonizzandoli con quelli privati.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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