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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il divario tra le diverse aree del Paese pesa come un macigno sulla capacità di crescita del tessuto delle imprese.Se il credito non è uguale per tutti Resta ancora tutta da definire una strategia organica e non occasionale nell’ambito dell’offerta di garanzie alle banche per favorire e sostenere l’accesso ai finanziamenti delle piccole e piccolissime aziende meridionali.
     

    Uno dei punti maggiori di criticità nella difficile quotidianità delle aziende meridionali è senza dubbio la relazione con il sistema del credito. La questione – come è ben noto – è da sempre soggetta a due interpretazioni. Da un lato quella degli imprenditori, che individuano quasi sempre oltre lo sportello l’accampamento del “nemico”; dall’altro quella delle banche che si giustificano con la ben articolata teoria del rischio legato a fattori territoriali o alla poca chiarezza del bilancio e della situazione patrimoniale delle Pmi. Il punto vero, però, è un altro: la permanente scarsa liquidità in circolazione e la disparità di trattamento – a cominciare dal costo effettivo del denaro – in relazione agli ambiti geografici di operatività degli sportelli di una stessa banca. Per non parlare della doppia velocità nell’attuazione di accordi stipulati a livello nazionale e che puntano ad agevolare le difficoltà delle aziende sotto il profilo dei rimborsi dei prestiti ottenuti. Su questi argomenti il dialogo è simile a quello tra sordi. Salvo, poi, prendere atto delle statistiche ufficiali che segnalano un cambio di clima – senza dubbio – ma non molto altro se si fa riferimento alla quantità di credito concretamente indirizzato verso le imprese.
    L’ultimo tassello al quadro in sintesi descritto lo ha aggiunto in questi giorni la Svimez (vedi altro servizio nella newsletter di questa settimana di www.salernoeconomy.it) a proposito dei Confidi (i consorzi che si occupano principalmente di attivare garanzie per le banche a fronte dei finanziamenti concessi alle aziende in modo da abbattere i rischi per il sistema creditizio e di ridurre i costi per le imprese). Qualche numero per entrare nel merito delle differenze territoriali: nel 2013 - spiega la Svimez - su un totale nazionale di 617 Confidi, 306 operavano al Sud, “ma erogavano in media annualmente garanzie pari a 17,7 milioni di euro, circa un quarto di quanto erogato in media da un Confidi localizzati nel Nord (97 milioni di euro) e meno della metà di un Confidi operante nel Centro”. Più complessivamente, “degli oltre 22 miliardi di euro di garanzie rilasciate dai Confidi a livello nazionale, 8,5 sono stati concentrati nel Nord Ovest, 5,2 nel Nord Est, 4,4 nel Centro e solo 3,9 al Sud”. Insomma: molti Confidi, ma poca sostanza. Perché? Perché anche in questo caso la qualità media delle strutture messe in piedi evidentemente non risponde soltanto all’esigenza di offrire un servizio efficiente alle imprese, ma anche (se non soprattutto) alla necessità di rendere disponibili società, poltrone e clientele di vario genere.
    Cosa propone la Svimez per tentare di iniziare a porre rimedio a questo stato di cose? Prima di tutto di elaborare un piano che agisca in maniera coordinata sui due fronti (banche e imprese) contemporaneamente. Come? Cartolarizzazione dei prestiti “finora molto modesta”, coinvolgendo “la Cassa Depositi e Prestiti, poiché operatore pubblico, nel delicato coordinamento delle operazioni di acquisto dei prestiti dalle banche e della loro immissione nel mercato”. E poi - “per incrementare la domanda di credito delle imprese e riavviare un circolo virtuoso” - di “potenziare gli strumenti di venture capital e private equity anche utilizzando risorse europee”. Per quanto concerne più da vicino i Confidi, invece, “occorrerebbe predisporre un modello di programmazione pluriennale degli interventi, con una banca dati nazionale che censisca i programmi e misuri l’impatto sui beneficiari; adottare il modello organizzativo federale, basato sull’interazione tra Confidi centrali e locali, e i contratti di rete; rafforzare i servizi prestati dai Confidi alle imprese, predisponendo una consulenza finanziaria continuativa”.
    Un programma non semplice, per la verità, che si scontra prima di tutto con la mancanza di soggetti (preferibilmente istituzionali, preferibilmente di livello regionale) in grado di assumersi il compito di “costruire” anche in questa delicata area strategica una visione comune, al di sopra di municipalismi e “categorialismi” francamente datati ed insostenibili.
    Nel frattempo il costo reale di questa situazione grava per intero sui piccoli e piccolissimi imprenditori destinati ad interloquire con le banche da posizioni di grande svantaggio. Non è una notizia, ma pesa eccome sulle difficoltà di ripartenza del Sud.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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