Glocal di Ernesto Pappalardo
Come ogni anno è già partito il tormentone relativo al consuntivo della stagione in via di conclusione.Turismo e colpi di sole I segnali di ripresa più o meno intensa offuscano i problemi strutturali del comparto. Senza interazione tra pubblico e privato e senza processi di filiera basati sulle interconnessioni territoriali - e non sulle divisioni municipalistiche - è davvero difficile immaginare dinamiche di crescita significative e durature.
Il tema è, per così dire, stagionale. A fine estate parte il tormentone sul bilancio del comparto turistico. Quest’anno i numeri sono fortunatamente in campo positivo. Anche se – andando ad ascoltare con attenzione gli operatori – non è stato tutto oro quello che adesso si vuole fare luccicare. In altre parole, dopo anni di risparmio forzato da parte delle famiglie, si è aperto qualche spiraglio. Ma senza mai perdere di vista il contenimento del budget e la riduzione del periodo medio di permanenza nel posto prescelto per la vacanza. Insomma, le conseguenze della stretta economica si avvertono ancora ed è molto probabile che sia cambiato strutturalmente il modello di spesa per trascorrere qualche giornata di relax. Quello che certamente non è cambiato – o, comunque, non ha dato segni evidenti e percepibili di mutamento – è la tipologia di approccio dei territori al mercato turistico interno ed internazionale. In questo caso si può tranquillamente parlare – fatte le poche e dovute eccezioni – di un “com’eravamo” ancora lievemente incrinato dalla diffusione delle nuove tecnologie, ma, nella sostanza, ancorato alla “filosofia” dell’autonomia del singolo imprenditore e, purtroppo, della singola amministrazione locale. Niente da fare. Nessun cedimento (o quasi) all’idea che, invece, da decenni è vincente in altre zone del Paese che, pure, non hanno da “vendere” tutta la “merce” – in termini di patrimonio naturale, architettonico, paesaggistico, culturale – che qui da noi addirittura si spreca. Di logica di rete e di visione sistemica della filiera turistica sono in molti a parlarne, ma all’atto pratico si preferisce tirare diritto da soli, confermando un format che ha prodotto una frantumazione dell’offerta ed una concorrenza al ribasso, penalizzando più o meno tutti i tasselli che concorrono a disegnare il mosaico delle aree a vocazione turistica. Fino a creare vere e proprie polarizzazioni dei target in pochi chilometri quadrati. Nello stesso perimetro comunale - per fare un esempio – non si è riusciti a creare le condizioni minimali per delineare il profilo di un’identità dei luoghi che è alla base della costruzione di proposte chiare, precise, competitive. In questo modo – mischiando i target – si arriva a compiere la difficile impresa di scontentarli tutti e di dovere ricominciare tutto di nuovo l’anno successivo. Né è emerso all’orizzonte – sia a livello istituzionale che in ambito privato – un fattore di aggregazione talmente convincente (e conveniente) da coagulare pacchetti ampi, articolati mediante i quali coinvolgere intere aree o cluster ricchi di potenzialità tristemente inespresse.
E c’è, poi, da aggiungere il disastro derivante dalla gestione di una rete logistica – o meglio di quello che assomiglia molto da lontano ad un sistema di mobilità di persone e cose – semplicemente controproducente per l’offerta turistica della nostra provincia e di larga parte della nostra regione. Un disastro che ha messo in ginocchio intere aree come il Cilento, solo per citare uno dei casi più eclatanti, che dovrebbero, invece, rappresentare fiori all’occhiello di rilevanza mondiale. L’altro tasto dolente resta la qualità del mare. Anche questa fondamentale opzione si è rivelata un punto di debolezza in molti territori ad altissima vocazione turistica. Con un danno incalcolabile in termini di credibilità dell’offerta campana.
Il quadro strutturale, quindi, è molto simile a quello degli altri anni e si avverte in fase di bilancio un’attenzione francamente sovradimensionata per il risultato che si potrebbe definire di “cassa” che prevarica fortemente la valutazione più complessiva sui “fondamentali” di un comparto che ha trascorso anni molto difficili.
La sensazione è che la boccata d’ossigeno possa essere scambiata per il ritorno al periodo ante/crisi e che – tutto sommato – passata la burrasca non sarà tanto complicato riacciuffare un trend più o meno soddisfacente. Non è improbabile che tutto continui a scorrere come sempre tra un’estate e l’altra, dimenticando che è indispensabile mettere mano ad interventi di politica turistica a trecentosessanta gradi.
Senza interazione tra pubblico e privato e senza processi di filiera basati sulle interconnessioni territoriali - e non sulle divisioni municipalistiche - è davvero difficile immaginare dinamiche di crescita significative e durature che potrebbero produrre ricadute di grande valenza sia dal punto di vista occupazionale che sul versante della produzione di ricchezza diffusa. Per non parlare dei provvedimenti legislativi di livello regionale che erano apparsi all’orizzonte non molto tempo fa. Ma questo è un altro (incomprensibile) discorso.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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