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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Nei giorni corsi è stato completato l’impianto normativo di riferimento della riforma.Jobs Act, sfida continua “Occorre intervenire su alcuni snodi strategici. In primo luogo sul collegamento strutturale ed automatico tra individuazione dei livelli retributivi e range di  produttività.  Fondamentale, inoltre, migliorare le buone relazioni tra P.A. e tessuto imprenditoriale”.

    Nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato gli ultimi quattro decreti previsti dalla Legge Delega sul Lavoro che riguardano la nascita della “super agenzia” per le Ispezioni del Lavoro, il riordino dei servizi per l’impiego e le politiche attive per il lavoro, semplificazioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità ed il riordino della Cassa Integrazione. Si completa così il quadro della riforma iniziata a marzo 2015 con il contratto a tutele crescenti e terminata sei mesi dopo. Prima di vedere nel dettaglio gli ultimi quattro decreti occorre fare - a questo punto è possibile - un quadro generale delle azioni previste nei diversi decreti e capire se il Governo ha dato risposta alle attese degli operatori e dei lavoratori.
    Innanzitutto bisogna dire che, ad esclusione del contratto a tutele crescenti entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (8 marzo), tutti gli altri decreti per essere pienamente operativi necessitano dei provvedimenti attuativi, circa sessanta, che il Ministro del Lavoro deve emanare, di cui alcuni in collaborazione con MeF e Inps. Pertanto in attesa di questi decreti possiamo sperare che la riforma “Madia” della P.A. venga in aiuto in quanto è previsto che entro massimo 60 giorni (30  + 30) la P.A. deve rispondere ai quesiti degli altri organi di P.A. altrimenti il silenzio vale come nulla osta a procedere. 
    Si è detto più volte che il nocciolo della questione ruota intorno alla riduzione del costo del lavoro, ebbene l’intera struttura del Jobs Act non prevede nulla circa la riduzione del costo del lavoro se non la “promessa” del ministro Poletti di un intervento che renda il contratto a tempo indeterminato meno oneroso delle altre tipologie contrattuali. 
    E’ stato reso più flessibile il mercato del lavoro? In uscita sicuramente si, con le c.d. tutele crescenti per l’azienda ci sono meno vincoli e rischi in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ma i risultati si vedranno solo tra qualche anno in quanto le nuove regole che depotenziano l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori si applicano ai nuovi assunti dall’8 marzo. In entrata se non ripartono i consumi difficilmente vedremo la creazione di nuovi posti di lavoro, anche in considerazione del fatto che le aziende in uscita dalla crisi riassorbono prima i lavoratori posti in cassa integrazione e poi generano nuova occupazione.
    Ha legato la retribuzione alla produttività? Gli otto decreti attuativi del Jobs Act non fanno alcun riferimento alle politiche di retribuzione, di welfare aziendale, di correlazione tra produttività e retribuzione del lavoratore. Questa è certamente una forte mancanza del legislatore che non è intervenuto su aspetti importanti della gestione dei rapporti di lavoro. Si pensi al fatto che le aziende che vogliono premiare i dipendenti in base alla produttività o al raggiungimento di obiettivi di qualità, rischiano di incorrere da un lato in sanzioni da parte dell’amministrazione fiscale sotto l’aspetto dell’imponibilità o meno di determinati emolumenti (previdenza integrativa, iscrizioni scolastiche, attività sportive per i figli dei dipendenti etc…) e dall’altro di vedersi triplicare i costi di questi premi proprio per il loro assoggettamento a contribuzione e tassazione fiscale.
    Ha tutelato maggiormente la maternità e la paternità? Mentre da un lato si è data la possibilità al genitore di rinunciare al congedo parentale ed ottenere la trasformazione del contratto da full time a part time, nonché la possibilità di fruire di tale congedo non più fino agli otto anni del bambino ma fino ai 12, nulla si è detto circa il concetto di paternità ed il diritto del papà a stare con il figlio. Restano i 3 giorni previsti dalla riforma Fornero che paragonati al welfare dei paesi scandinavi sono segnale di forte arretratezza del nostro paese sotto questo aspetto. 
    Ha inciso sui livelli occupazionali? I dati Istat e quelli del Ministero del Lavoro fanno ben sperare, ma non dobbiamo dimenticare che il saldo positivo tra cessazioni e nuove assunzioni è figlio non delle tutele crescenti ma della decontribuzione triennale prevista dalla L. 190/14 e a tutt’oggi non confermata per il 2016. Inoltre la riduzione del ricorso alla cassa integrazione rilevata dall’Inps e dall’Istat è segnale di ripresa della produzione ma non di creazione di nuova occupazione. Certo sono tutte indicazioni positive, ma dal Governo ci si aspettava una riforma decisa, quasi strutturale del nostro arcaico mondo del lavoro. Va detto che anche l’intervento sulla cassa integrazione era necessario con una maggiore chiarezza e minore durata del sostegno, ma è sulle politiche attive che si gioca la grande partita del Jobs Act. In Italia manca effettivamente una connessione lineare tra la domanda e l’offerta di lavoro. I Centri per l’Impiego devono tornare ad essere punto riferimento per la ricerca di lavoro e per la riqualificazione dei lavoratori. In collaborazione con le agenzie per il lavoro e gli enti di formazione accreditati, i CPI devono tornare centrali e dobbiamo, come spesso accade nel nostro Paese, ridurre il frazionamento esistente con la presenza di diversi enti pubblici che svolgono le stesse funzioni.
    In ultimo si sentiva l’esigenza di una semplificazione e riorganizzazione dei servizi ispettivi in materia di lavoro. Direzioni Territoriale del Lavoro, Inps, Inail, ASL, Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate, tutte dotate di poteri di vigilanza sui rapporti di lavoro con l’obbligo di segnalare ai competenti enti le irregolarità riscontrate. E così le aziende si ritrovano nella condizione di essere ispezionate dalla DTL che rileva una irregolarità contributiva, ne da comunicazione all’Inps oltre ad emettere la relativa sanzione e poi dopo qualche anno viene notificato anche il verbale Inps relativo. Un intervento era necessario, dunque, si spera che in questa nuova regia di comando prevista dal Jobs Act vengano inserite norme che rendano la P.A. “partner” del privato e non continuino a dare vita a quei comportamenti di “muro contro muro” che caratterizzano le attività di ispezione in genere.
    In conclusione si può dire che il Jobs Act è una riforma incompleta in quanto manca di alcuni elementi fortemente sentiti dalle imprese: riduzione del costo del lavoro, collegamento tra retribuzione e produttività, condivisione di obiettivi tra pubblica amministrazione e attività privata. In attesa dei circa sessanta provvedimenti attuativi, la speranza resta l’ultima a morire.  

    *Studio Viviano&Partners
    antonio@vivianoepartners.com
    Via M. Pagano n°168 - Roccapiemonte
    Tel. 345 599 07 36


    Completata la riforma iniziata con il contratto a tutele crescenti
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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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