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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Nella società dell’accelerazione permanente e del just in time non mancano pensatori in controtendenza.Il management è slow Stéphane Szerman, filosofo, e psicoterapeuta, teorizza l’arte delle decelerazione per vivere meglio, adeguando i propri ritmi a quelli naturali, riacquistando la consapevolezza delle distanze e sviluppando la conoscenza della qualità ambientale.

    Tutto scorre veloce nella società della convergenza digitale e se invece la ricetta per affrontare la crisi fosse rallentare? La tecnologia ci ha abituati all'illusione di poter fare tutto, simultaneamente e in poco tempo.
    Eppure, in controtendenza rispetto al trend del fast life contemporaneo, avanzano richieste di modalità "slow", anche nel marketing dove alcuni brand creano spazi nuovi fra on e off line, in un'ottica più a misura d'uomo. Una sorta di slow brand, come nella riedizione del Carosello, per rispondere ad un’esigenza forte di tradizione e lentezza.
    Innovazione e tradizione rappresentano due tendenze contrapposte ma parallele, in maniera sempre più evidentenella vita di tutti i giorni; per esempio nel comparto alimentare: fast food da un lato e slow food dall’altro.
    Una recentissima ricerca di IPSOS svela che i trend del mondo dell’alimentazione internazionale vanno proprio in questa direzione, sia per i più giovani, i “Millennials” (18-29 anni) che per i loro genitori, i “Baby Boomers” (50-64 anni): da un lato lo streetfood e i cibi pronti o confezionati, dall’altro il fresco ed il biologico con un passaggio marcato dallo status all’esperienza ed una maggiore sensibilità verso la tipicità.
    Gli inviti alla decelerazione provengono da tutte le parti poiché la velocità costituisce una minaccia per l’ambiente, il lavoro e la nostra stessa salute. 
    Secondo Stéphane Szerman, filosofo, e psicoterapeuta, autore di “Slow: rallentare per vivere meglio” (Egea 2014): “Vivere e pensare Slow significa adeguare il proprio stile di vita ai ritmi naturali, essere sensibili alle stagioni, riacquisire la consapevolezza delle distanze, sviluppare una conoscenza dei prodotti e dell’ambiente. […] ”.
    Slow Food, è la fonte originaria di questo pensiero che si è esteso in altri comparti come nello Slow Tourism: spostamenti lenti e poco inquinanti, in barca, bicicletta o anche a piedi, per entrare in contatto con la popolazione e assorbire le tradizioni; per esplorare se stessi. Procedere ad un’andatura lenta, camminare a piedi, abbassare la velocità, ti fa percepire dettagli che altrimenti non vedresti fuori e dentro di te. 
    Gli operatori turistici non hanno ancora ben colto questa crescente fetta di mercato, che potrebbe essere molto stimolante non solo per i professionisti del marketing ma anche per i turisti sempre più alla ricerca di innerexperience.La tendenza alla decelerazione sembra essere parte di un più vasto movimento di riflessione. I movimenti Slow rappresentano una nicchia promettente e importante ma per ora hanno un impatto modesto sui nostri modelli di vita e di consumo.
    Anche nel Management avanzano logiche di lentezza. Le aziende, come gli uomini, non possono andare sempre ad alta velocità. Hanno bisogno di rallentare, come le automobili, hanno delle marce: c’è il momento di scalare, di metterela seconda, la primae qualche volta di tirare anche il freno a mano. La stessa rincorsa sfrenata al fatturatopuò diventare deleteria perché fa perdere di vista la qualità dei ricavi e soprattutto il ROI; e cioè la profittabilità delle iniziative nel lungo periodo.
    Il concetto di Slow Management è recentissimo e di origine francese e ridefinisce le impostazioni dell’azienda: uno stile didirezioneattraverso il quale i dirigenti d’azienda si propongono di “riportare umanità nell’impresa”.
    Ambienti cooperativi e stabili che favoriscono lo sviluppo umano e sostenibile, per eliminare i fattori di stress dei propri dipendenti e migliorare l’ambiente di lavoro: spazio relax, flessibilità degli orari, cucina comune, ambienti confortevoli, finanche il pisolino.
    Il walking management.
    Ma a parere di chi scrive è forse più giusto parlare di Walking Management, gestione lenta a piccoli passi per sviluppare lucidità nella Direzione. Le aziende, e gli imprenditoriin particolare, sono abituati a correre presi dalla routine e dalla quotidianità; tuttavia arriva il momento di rallentare per allargare la visuale, fare chiarezza. Analisi, programmazione, strategia, controllo di gestione, ma anche le relazioni con colleghi, superiori, dipendenti richiedonotempo e ritmi più blandi; altrimenti l’organizzazione procede per inerzia senza una direzione certa.
    Questo è uno dei motivi per cui nel mese di Agosto ho affrontato il Cammino, un percorso di formazione itinerante: 120 km a piedi da Rieti ad Assisi, in 4 giorni!
    “Il Cammino è uno strumento di natural team building, che facilita la comunicazione interpersonale, il dialogo, il confronto e la condivisione di una direzione – afferma Pier Carlo Romeo formatore di FYM”. Il percorso di oltre 100 km, tra le bellezze dell’Umbria, insegna come piccoli movimenti, abitudini, errori apparentemente impercettibili, alla lunga possono creare, se ripetuti, enormi piaghe dentro e fuori di noi. Come succede tutti i giorni in azienda! Il corso mostra infine l’enorme forza del gruppo “che ti può spingere oltre i tuoi limiti consentendo di fare molta più strada di quella che avresti mai potuto fare da solo”. 
    Il Cammino rientra in quello che si definisce formazione esperienziale e sono sempre di più i manager e gli imprenditori che utilizzano questo programma per “camminare con se stessi”. Si tratta di un banco di prova perle proprie capacità, per apprendere competenze che non possono essere trasferite in aula ma che si possono imparare solo alla "scuola della strada", STRADA FACENDO! 
    Perché forse oggi, anche più di ieri, chi va piano va sano e va lontano!


     


    Walking management
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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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