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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il difficile contesto nelle regioni del Sud incentiva la corsa a creare micro/aziende.Il lavoro? Ci provo da solo Nella fascia anagrafica “under 35” in Campania si ricorre all’auto/impiego con percentuali che esplicano pienamente il disagio sociale.
     

    La notizia si presta a due interpretazioni. La prima: è talmente difficile trovare un lavoro in Campania che l’unica speranza è inventarselo da soli. La seconda: siamo tra le regioni con i giovani “under 35” meno passivi di fronte allo scenario deprimente che si profila, ormai da decenni, una volta concluso il percorso di studi (o anche prima). Un dato su tutti (fonte Unioncamere): nella nostra regione ogni mille giovani residenti nascono 3,2 imprese. E ancora: nel secondo trimestre del 2015 (aprile/giugno) il saldo tra iscrizioni e cessazioni di imprese giovanili è stato ampiamente positivo: +2.866. Il tasso di crescita trimestrale è stato pari al +3,94% (Italia: +3,58%). Insomma: se vogliamo parlare di piagnistei – per favore – non parliamone a questi ragazzi che hanno deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo, mettendoci (loro sì) la faccia e i risparmi personali (oltre che quelli di mamma, papà, nonni e quanti in famiglia hanno deciso di dare una mano). 
    Di fronte a questo quadro, pare evidente che si dovrebbe ragionare in termini strutturali e di sistema, raccogliendo l’offerta di disponibilità imprenditoriale ed incanalandola in percorsi quanto più possibile duraturi e meno esposti al rischio di un ciclo nella maggior parte dei casi breve (24/36 mesi).
    Capita spesso di ascoltare ampi ed articolati discorsi sulle start up (innovative e non), sulle “leve” finanziarie attivabili per favorirne l’accesso al credito, sulle premialità fiscali e quant’altro. Tutto bene, naturalmente. Ma un disegno organico e non meramente burocratico/amministrativo, che si ponga il problema di accompagnare questa spinta virtuosa dal basso di tanti giovani campani e meridionali, non si riesce ancora a percepire. Anche in questo caso tutto sembra affidato al fai da te ed alle conoscenze personali.
    Probabilmente si dovrebbe mettere mano – collegandoli agli interventi in materia di politiche attive del lavoro – ad un pacchetto di provvedimenti che tenga conto del presupposto di fondo: la positiva spinta all’auto/imprenditorialità deriva dalla constatazione delle gravi difficoltà d’ingresso nella filiera produttiva. Sulla base di questa stretta correlazione potrebbero nascere interessanti partenariati già nel corso dello svolgimento della carriera scolastica dei giovani in cerca di occupazione. Come? Prima di tutto con un robusto ricorso alla formazione ed alla diffusione della cultura d’impresa. Non si può pensare che aprendo semplicemente una partita Iva, si diventa sul serio imprenditori di se stessi. Né si può assistere a “partenze” palesemente inadeguate alle sfide del mercato. Solo dopo si arriva al problema del reperimento dei finanziamenti. Ed anche in questo caso si può fare molto di più: si pensi, per esempio, al sistema delle garanzie dei prestiti bancari attraverso la rete dei Confidi o all’ottimizzazione/espansione uteriore del micro/credito. In altre parole: non si possono lasciare davvero soli migliaia di giovani che non hanno nessuna intenzione di starsene a casa.
    Senza impelagarsi in “modelli” complessi e troppo burocratici (e, quindi, nel novanta per cento dei casi, inutili), si potrebbe/dovrebbe partire da una capillare rete di ascolto dei giovani motivati a mettersi in proprio. Quale? Magari quella degli sportelli per l’impiego in capo alle Province (sì, quelle Amministrazioni giudicate così “inutili” da essere abolite per legge, ma, che in realtà, sostengono di essere ancora “vive”). Attività di selezione e di accompagnamento in una prima fase e, poi, in relazione con il sistema delle Camere di Commercio, avvio della fase più strettamente tecnico/operativa.
    Nulla di complicato, per carità. Ma – oggettivamente – mettere in rete più Enti nel nostro Sud è, come si sa, un’impresa titanica. Molto di più che avviare e fare sopravvivere un’impresa giovanile. In fondo, si ricorre all’auto/occupazione proprio perché – tra annunci di riforme, Jobs Act e sgravi contributivi – alla fine il lavoro vero ancora non c’è. E, quel che è peggio, nessuno - al di fuori dei bacini politico/clientelari o di quelli criminali e malavitosi - è realmente in grado di  offrire il famoso “posto” ad una persona (giovane e non).
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it

     


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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