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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Le analisi di Svimez e Confindustria hanno delineato le coordinate reali delle criticità nelle quali le regioni meridionali si dibattono senza troppe speranze di venirne a capo.Sud, il momento della verità Piani, programmi, annunci, proclami: tutto già visto e sentito più volte. Ma adesso la sensazione è che il tempo a disposizione sia davvero poco. Prima dell’economia è indispensabile affrontare le emergenze sociali: troppe le famiglie precipitate nel baratro di un disagio insostenibile.

    Il problema – come si diceva un tempo – è politico. E’ tutto politico, per la verità. Alla fine si è arrivati (con gravissimo ritardo) al nodo centrale della questione: che cosa intendono fare veramente le Istituzioni (Ue, Governo, Regione etc etc etc) per affrontare quella che è diventata a tutti gli effetti una vera e propria emergenza sociale, prim’ancora che economica e produttiva? Insomma, stringi e stringi non si può più bluffare. Non basteranno le solite “narrazioni” o le consuete contumelie sulla lamentosità dei meridionali. Si dovrà prendere atto dei numeri. Dei numeri che dimostrano in maniera incontrovertibile quanto poco concludente si sia rivelata la rappresentanza politico/istituzionale espressa a tutti i livelli dai cittadini del Sud e quanta poca voglia abbiano dimostrato di avere gli ultimi Governi (compreso quello in carica) di affrontare strutturalmente il dualismo crescente tra le diverse aree del Paese. Questa volta occorre partire dalle famiglie perché la radiografia della situazione è davvero impietosa, fino a delineare l’allarme-povertà. Per capirci meglio: “In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014 - è la Svimez a sottolinearlo - le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord”. E ancora: nel 2013 in Italia il 18% della popolazione era esposto al rischio povertà, ma “con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud”. Ed in questo ambito di riferimento subito dopo la Sicilia, la regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Campania (37,7%). Se parliamo di povertà assoluta, nel 2014 la percentuale di famiglie sul totale è aumentata al Sud (rispetto al 2011) del 2,2% (passando dal 6,4% all’8,6%) contro il +1,1% del Centro-Nord (dal 3,3% al 4,4%). Va, infine, aggiunto che nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono passate da 511mila a 704mila al Sud e da 570mila a 766mila al Centro-Nord.  L’ultimo tassello per chiudere il cerchio: a livello di reddito, guadagna meno di 12mila euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord. Ed è molto pesante la situazione in Campania: quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui.
    Basteranno tutte queste cifre a fare muovere qualcosa? O dovremo continuare ad assistere al solito balletto di annunci di piani e di programmi che quasi mai si rivelano propedeutici alla realizzazione di qualcosa di concreto? Ancora altre cifre. “Anche nel 2014 - ha calcolato la Svimez - gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud rispetto al Centro-Nord: -4% rispetto a -3,1%. Dal 2008 al 2014 sono crollati del 38% nel Mezzogiorno e del 27% nel Centro-Nord , con una differenza tra le due ripartizioni di 11 punti percentuali”. 
    In picchiata la spesa in conto capitale. A livello nazionale dal 2001 al 2013 “è diminuita di oltre 17,3 miliardi di euro, passando da 63,7 a 46,3 miliardi di euro”. Dal 2001 al 2013 “la spesa nel Mezzogiorno è diminuita di 9,9 miliardi di euro, passando da 25,7 a 15,8” e “la spesa complessiva in conto capitale della PA è arrivata a pesare nel Mezzogiorno nel 2013 sul totale del Paese per il 34,1%, cifra nettamente inferiore all’obiettivo programmatico del 45% fissato in vari documenti di programmazione nei primi anni Duemila”.  
    Che cosa aggiungere? Nulla, se non che ora è veramente indispensabile fare qualcosa. Va bene tutto tranne che ulteriori fiumi di parole. La retorica – meridionalista ed anti-meridionalista – non è proprio più proponibile. E’ il momento della verità. Ma è davvero difficile trovare qualche buona ragione per aprire uno spiraglio nello scetticismo e nel disincanto generale.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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