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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I dati di Unioncamere riferiti al 2014 confermano uno scenario di grave sofferenza per le famiglie e le imprese.I numeri veri e la politica Torna ad allargarsi il differenziale di benessere economico tra la Campania ed il resto d’Italia, con un valore aggiunto per abitante pari ad appena il 62,5% di quello medio nazionale.

    Il discorso rischia di essere ripetitivo ed anche noioso. Ma il vero problema è che di fronte ad uno scenario che si perpetua non si riescono a rintracciare elementi di reale discontinuità nello scenario economico e produttivo a livello regionale e delle singole province. Alla fine i dati che contano di più per famiglie ed imprese sono sempre gli stessi. E generano sfiducia, disincanto. Il contrario di quello che occorrerebbe in un momento così delicato che segna, in ogni caso, l’inizio di un cambiamento (almeno nelle regioni del Nord e del Centro).
    Ma vediamo prima di tutto i numeri. Quelli diffusi da Unioncamere Campania lo scorso 16 luglio e riferiti al consuntivo del 2014. “Torna ad allargarsi il differenziale di benessere economico dei territori campani - è scritto nel consueto report annuale -  rispetto al resto d’Italia, con un valore aggiunto per abitante pari ad appena il 62,5% di quello medio nazionale”. In altre parole: “La Campania rimane agli ultimi posti fra le regioni italiane (16ma) per valore aggiunto pro capite, anche se andamenti peggiori in altri contesti migliorano leggermente il ranking, che la vedeva al 17mo posto nel 2013”. E ancora: “La provincia di Caserta è terzultima fra le province italiane per valore di detto indicatore, in peggioramento rispetto al 2013, mentre Napoli non supera un modesto 81mo posto su 107 realtà provinciali. Le altre realtà provinciali campane si attestano fra l’85mo posto di Avellino ed il 99mo di Benevento, due province interne, specie la seconda, in profonda sofferenza produttiva”.
    E, sebbene il clima di fiducia generale nei primi mesi del 2015 sia migliorato, i numeri del 2014 ci raccontano che lo scorso anno in Campania si è chiuso “con una nuova recessione, dopo la stagnazione in termini nominali (che in termini reali si traduce in una contrazione) della crescita registrata nel 2013”. Il valore aggiunto nel 2014 è diminuito di 1,1 punti rispetto al 2013. “Un andamento - spiega sempre Unioncamere -  più grave non solo della media nazionale, ma anche di quella meridionale, evidenziando un impatto della crisi economica particolarmente grave”.  Recessione dura, quindi, a Caserta (-2,2%), Avellino e Salerno (con un calo di 2 punti circa), “ma tutte le province accusano una flessione della crescita peggiore rispetto al resto del Paese, con Napoli (-0,4%) che contiene i danni relativamente meglio, ma comunque si colloca nella fascia delle province italiane con i peggiori risultati dell’anno”. 
    Di fronte a questo quadro appare oggettivamente difficile per chiunque rimettere in sesto l’economia regionale. Né possono trovare ragionevole accoglienza declinazioni salvifiche della ripartenza o del “riscatto”. Questi sono toni adatti alle campagne elettorali. Ma quando, invece, si deve elaborare un percorso concreto - possibilmente chiaro e tecnicamente attuabile – si dovrebbe cambiare registro e pensare prima di tutto in termini inclusivi. Va bene il decisionismo e la velocità delle scelte dopo decenni di deleterio galleggiamento, ma adesso è anche il momento della pianificazione sostenibile ed innovativa rispetto al passato remoto e recente. E’ indispensabile la pianificazione di quegli interventi che possono realisticamente incidere nel breve e nel medio periodo sulla qualità della vita delle famiglie e delle imprese. Per le prime tutti gli indicatori più attendibili ci segnalano che occorre arginare prioritariamente il disagio quotidiano crescente rispetto alla stessa capacità di acquistare gli alimenti necessari al sostentamento. Da questo punto vista è urgente implementare la rete di assistenza sociale di tantissimi nuclei familiari che ormai sopravvivono in condizioni indegne di un Paese civile. Per quanto concerne le imprese il discorso è certamente più complesso, ma anche in questo caso gli interventi da realizzare sono noti da tempo ed i fondi ai quali attingere anche.
    Che cosa manca allora? Difficile dirlo, considerando il fiume di parole che ci investe quotidianamente. Mancano i risultati concreti. Perché molto probabilmente è il tempo di condividere con tutti gli attori sociali un crono-programma certo che consenta a tutti di riacquistare fiducia nell’interlocutore pubblico. Insomma, ora è il momento di annunciare le cose fatte e che funzionano, non quelle che si intende fare. Per tutto il resto non c’è più tempo. Solo in questo modo ritorneranno a muoversi i capitali privati - in attesa che quelli pubblici si traducano in opere materiali visibili e fruibili – e la Campania potrà vivere una nuova stagione che la faccia sentire maggiormente una regione dell’Italia e dell’Europa.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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