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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Modelli di sviluppo (?)

    I numeri, a volte, possono sembrare davvero impietosi. Come quelli, per esempio, usciti fuori dalla “Giornata dell’Economia” organizzata dalla Camera di Commercio nel corso della quale è stato distribuito il report dell’Istituto Tagliacarne sullo stato di salute del nostro territorio. Il 2011 si è chiuso con un calo del 4,2% del Pil provinciale, un trend negativo che, pur in linea con quello campano (-2,2%), conferma un arretramento più incisivo, soprattutto se lo si compara con la percentuale nazionale (+1,7%). Il calo degli occupati in provincia di Salerno tra il 2007 e il 2011 è stato di circa dodicimila unità, una variazione del -3,4%. In questo caso la percentuale è più bassa rispetto a quella regionale (-8,8%), ma, comunque, ben più alta in relazione all’1,1% nazionale. Tra il 2007 e il 2011 i disoccupati sono passati da 45.616 a 52.587 unità. Il tasso di disoccupazione, infine, è risultato nel 2011 pari al 13,2%. Anche in questo caso, va sottolineata la distanza dei valori registrati per le provincie campane rispetto alla media nazionale (tasso di disoccupazione: Campania 15,5%; Italia 8,4%). Se andiamo, poi, ad indagare sulla composizione del valore aggiunto, abbiamo ben chiaro il quadro evolutivo dell’identità produttiva del territorio. Il settore dei servizi rappresenta la principale attività economica della provincia di Salerno. Il valore aggiunto del terziario costituisce il 78,6% del totale, una percentuale di poco inferiore a quella regionale (80,2%) ma superiore a quella registrata per il meridione (78%) e l’Italia nel suo complesso. In Campania, Salerno è la provincia con il peso maggiore nel settore terziario dopo Napoli (83,4%). “Continua ad attestarsi su valori contenuti - scrivono gli analisti del Tagliacarne - il contributo dell’industria. In provincia di Salerno, infatti, il valore aggiunto del settore industriale è pari al 17,5% del totale, dato che non si discosta in misura significativa da quello della Campania (17,1%), ma risulta nettamente inferiore al valore nazionale (24,9%)”. Di segno opposto il dato che riguarda, invece, il settore primario: “Il contributo proveniente dall'agricoltura – si legge sempre nello studio del Tagliacarne - è pari al 3,9%, un valore ampiamente superiore a quello medio regionale (2,6%), del Mezzogiorno (3,3%) e, soprattutto, dell'Italia (1,9%)”. Se la realtà dei numeri è esattamente questa, è evidente che bisogna ripensare il “famoso” o “famigerato” modello di sviluppo che tutti evocano, ma che nessuno, poi, è capace di appuntare almeno sulla carta. Come richiamato dal periodico rapporto che l’Area Mezzogiorno di Confindustria dedica al Sud, l’unica risposta plausibile è questa: “Per invertire il trend - scrive Confindustria - è necessario creare le condizioni affinché al Sud si possa restare e vivere bene; affinché imprese e imprenditori ne siano attratti. Occorre cioè puntare sui settori in grado di esaltare le caratteristiche e le potenzialità del territorio: da un lato, su una logistica che crei valore aggiunto sfruttando il posizionamento del Mezzogiorno al centro del Mediterraneo; dall’altro, sul consolidamento del triangolo Turismo-Agricoltura-Cultura, tre settori in grado di alimentarsi a vicenda e capaci di generare effetti virtuosi in settori contigui (agroalimentare) e in comparti apparentemente distanti come l’edilizia che, dopo la pesante crisi degli ultimi anni, potrebbe ritrovare nuovo slancio da una massiccia opera di riqualificazione del territorio. Il tempo stringe”. Già, il tempo stringe. Ed è proprio questo il momento di (ri)pensare ad un modello di sviluppo che applichi l’approccio industriale all’unica filiera vera che abbiamo, quella dell’agroalimentare, ovviamente. Una filiera, però, “estesa”, capace di interagire con gli altri vertici del triangolo delineato da Confindustria: Turismo e Cultura. Senza trascurare, però, il pieno sostegno al manifatturiero che è ancora in grado di essere competitivo nella sfida tra territori. La vera partita che non bisogna perdere. Anche se la politica e le istituzioni, in larga parte, non ne hanno ancora compreso il valore cruciale. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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