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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Approvato il provvedimento relativo al percorso di riorganizzazione del personale.Ecco il demansionamento “light” “Desta qualche perplessità il rinvio (Decreto L.gs. 80/2015) alle sedi protette - per la stipula degli accordi necessari tra datore di lavoro e dipendente - che in questo modo diventano destinatarie di responsabilità di non poco conto”. 

    di Antonio Viviano*
    Le “mansioni” del lavoratore rappresentano da sempre un campo di “battaglia” complicato, dove datore di lavoro e lavoratore subordinato si “scontrano” al fine della corretta applicazione del CCNL con conseguenze anche sulla retribuzione del lavoratore. L’Art. 2103 c.c., che disciplina le mansioni del lavoratore, data la sua rigidità, non consentiva neanche forme di flessibilità anche se concordate con le organizzazioni sindacali; necessitava di un intervento in materia considerata anche la rapida evoluzione del lavoro con l’esigenza di professionalità chiamate ad adeguarsi velocemente al mutamento delle esigenze produttive.
    Prima dell’intervento dell’Esecutivo, il demansionamento era previsto in alcuni casi specifici individuati dalla legge:

    -    L. 223/1991, in caso di procedure collettive di riduzione del personale al fine di evitare il licenziamento;
    -    L. 68/1999, nei casi di disabilità del lavoratore sopraggiunta durante lo svolgimento del rapporto di lavoro;
    -    D.Lgs. 81/2008, nei casi di inidoneità totale o parziale alla mansione formulata dal medico competente;
    -    D.Lgs. 66/2003, nei casi di inidoneità al lavoro notturno.

    Con l’intervento del Governo attraverso il D. Lgs. 80/2015, il demansionamento è stato reso meno rigido. L’art. 3 del Decreto Legislativo al comma 1 prevede che il datore di lavoro possa adibire il lavoratore a mansioni di pari livello all’interno della categoria di appartenenza non facendo alcun riferimento alla “equivalenza delle mansioni” e quindi permettendo la c.d. Job Rotation del lavoratore. Al comma 2 stabilisce che è possibile assegnare il lavoratore a mansioni di livello inferiore nei casi di variazione degli assetti organizzativi aziendali che riguardano la posizione del lavoratore. Si da pieno potere all’imprenditore in quanto la variazione degli assetti organizzativi rientra tra i principali poteri del datore di lavoro, si pensi alle procedure di esternalizzazione con la relativa soppressione del posto di lavoro; la norma, d’altro canto, blocca lo “ius variandi in peius” stabilendo la “retrocessione” di un solo livello all’interno della stessa categoria.
    Al comma 3 si prevede che, dove necessario, il demansionamento deve essere accompagnato da un percorso di aggiornamento formativo, ma anche in questo caso la scelta è lasciata alla valutazione dell’imprenditore. Il comma 4 rimanda alla contrattazione collettiva altre ipotesi di demansionamento; c’è da precisare che lo stesso Decreto Legislativo all’art. 51 specifica che per contrattazione collettiva s’intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali. Il successivo comma 5 stabilisce che il lavoratore mantiene il livello di inquadramento ed il trattamento retributivo in godimento, ad eccezione delle indennità e degli elementi retributivi collegati alle modalità di svolgimento della prestazione (es. indennità di cassa).
    È, invece, al comma 6 che il legislatore introduce le novità più importanti destinate ad avere ripercussioni anche su altri aspetti del rapporto di lavoro. Innanzitutto viene data la possibilità alle parti di sottoscrivere un accordo di modifica delle mansioni, della categoria, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione se vi è interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita
    Si apre uno scenario ampio: ad esempio, l’interesse al mantenimento dell’occupazione può rinvenirsi tutte le volte che il lavoratore è destinatario di un atto di recesso al di fuori delle procedure collettive di riduzione del personale; per esempio si può verificare anche una rinuncia temporanea perché collegata strettamente all’andamento aziendale. Nei casi di introduzione di nuovi prodotti innovativi si può ravvisare l’interesse del lavoratore ad acquisire “nuova professionalità” e quindi la possibilità di ricorrere al demansionamento. Ancora, quando il legislatore parla di “miglioramento delle condizioni di vita” fa venire subito in mente il trasferimento del lavoratore ad una sede più vicina alla sua residenza e quindi al conseguente miglioramento delle condizioni di vita dovuto alla eliminazione del “pendolarismo” e quindi ad una migliore conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. 
    Al comma 7 si interviene sulle problematiche legate al c.d. “mancato sviluppo della professionalità” cioè a quei casi in cui il lavoratore viene assegnato a mansioni superiori che determinano l’automatica promozione al livello superiore. Il Decreto stabilisce che l’assegnazione a mansioni superiore diviene definitiva nei casi in cui siano state esercitate in maniera continuativa per almeno 6 mesi, raddoppiando quanto previsto dall’art. 2103c.c.. inoltre, si stabilisce che tale assegnazione non matura quando il cambio sia dovuto a ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, adottando in questo modo una formulazione più ampia rispetto a quella recedente ove si faceva esplicito riferimento al lavoratore avente diritto alla conservazione del posto.
    Un intervento legislativo sulle mansioni necessario nell’ordinamento vigente, al fine di rendere flessibile l’utilizzo del lavoratore per adeguarlo il più possibile alle diverse esigenze produttive richieste dal mercato. Il Decreto L.gs. 80/2015 rimanda alle sedi protette la stipula di quegli accordi che rendono fattibile il demansionamento scaricando, a parere dello scrivente, su queste ultime una responsabilità di non  poco conto: non si riducono a semplici “commissioni notarili” che prendono atto degli accordi tra le parti, ma si ergono a “protettori” della legge in quanto devono evitare la stipula di “patti leonini” tra datore di lavoro e lavoratore. 
    Considerati anche i dati relativi alle nuove assunzioni e alla produzione industriale, possiamo dire che la strada del Jobs Act, seppur aspramente contestata dagli oppositori del cambiamento, sia quella giusta; come sempre si può fare meglio e di più ma l’Italia (intesa nella sua valenza di Sistema Produttivo) ha necessità di rimettersi al passo con i grandi Paesi mondiali e richiamare investimenti esteri che non siano semplice acquisizioni del Made in Italy.

    *Studio Viviano&Partners
    antonio@vivianoepartners.com
    Via M. Pagano n°168 - Roccapiemonte
    Tel. 345 599 07 36


    Con il D.Lgs. 80/2015 demansionamento meno rigido
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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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