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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Come provare ad affrontare il problema della ripartenza dell’economia dei territori campani.
     
    Se mancano il metodo e la “visione” Non è solo questione di deleghe o di quote rosa ed “azzurre”. Occorre mettere a fuoco un modello di sviluppo condiviso in base al quale articolare l’impegno delle risorse (Ue) e la strutturazione della macchina istituzionale ed amministrativa.
     

    Il momento della sfida politica ed elettorale in Campania fatica ad essere archiviato. Gli strascichi della legge Severino (ancora pendenti) non contribuiscono di certo al recupero di un clima appena appena civile tra maggioranza ed opposizione per provare a prendere in considerazione quelli che sono i problemi reali ai quali dare urgentemente una risposta. Si avverte ben distintamente - ad oltre un mese dal voto - il rumore delle armi, mentre famiglie ed imprese attendono provvedimenti concreti per tentare di superare la più lunga e grave crisi dal dopoguerra in poi.
    Al di la del richiamo alle priorità che – più o meno – sono ben note anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, è il caso di porre un problema di metodo. Quello che è sembrato mancare negli anni precedenti è stata una cornice coerente, un disegno strategico in grado di contenere e di dare un senso logico alla massa di provvedimenti da mettere in campo, attingendo con rigore ed adeguata valenza tecnica ai finanziamenti (prevalentemente di matrice europea) che pure sono disponibili.
    Insomma, il primo problema di cui tenere conto – soprattutto in questa preziosa fase di programmazione e di messa a punto della macchina amministrativa – è senza dubbio legato all’individuazione di un percorso ampio, di largo respiro mediante il quale elaborare una visione d’insieme dei problemi e delle soluzioni. Non è – per intenderci – soltanto una questione di articolazione delle deleghe e delle competenze, né un “problema” di quote rosa o “azzurre”. E’ importante in questi giorni, invece, definire una declinazione armonica dell’apparato istituzionale ed amministrativo sotto il profilo programmatico ed operativo, puntando a fare in modo che la mano sinistra della Regione sappia sempre che cosa fa la destra. Per dire: se si decide di procedere nella direzione di un turismo multi/vocazionale (come sarebbe lapalissiano fare), gli assessorati che a vario modo interagiscono con un settore così traversale dovrebbero almeno parlarsi tra di loro per concentrare meglio non solo le risorse (e già sarebbe un passo in avanti per certi aspetti epocale), ma anche per avviare collaborazioni funzionali agli obiettivi da raggiungere. Esempio pratico: è mai possibile pensare di affrontare i mesi estivi con una rete viaria – di qualsivoglia Ente ne sia la competenza – improponibile? Forse – forse – in questo caso si potrebbe varare un piano di manutenzione straordinaria partendo dalle segnalazioni dei sindaci delle località più “colpite” proprio nel momento cruciale (i mesi estivi) per ogni sistema dell’accoglienza che si ritenga tale. Ma non mancano altri casi parimenti emblematici.
    Quello che preoccupa è che si proceda - come più volte accaduto nella storia della Regione Campania, senza distinzione di coloriture politiche - attraverso programmi settoriali anche molto ben costruiti, ma sostanzialmente avulsi da un progetto generale di rilancio dell’economia in base ad alcuni riferimenti precisi.
    Si è più volte parlato – sempre per entrare nel merito – di una politica industriale di livello regionale. Bene. Anzi, benissimo. Un piano industriale in ambito regionale – in considerazione della quasi totale latitanza del livello governativo centrale – sarebbe uno strumento molto concreto e pratico. Perché non valutare l’ipotesi di attivare un’iniziativa del genere? Il problema nasce un secondo dopo. Come? Attraverso quali modalità? E con quale coordinamento dei diversi assessorati naturalmente “vocati” a contribuire alla sua realizzazione? Ecco perché prima di partire a testa bassa, occorrerebbe tentare di individuare un modello di coordinamento delle strutture in virtù della scelta delle cose da fare rispetto ai bisogni reali – in questo caso – delle imprese. Stiamo parlando di obiettivi principali sui quali riversare le risorse necessarie alla luce di un progetto che nel giro di poco tempo punti a dare risposte percepibili e realmente impattanti sui territori. Insomma: reti stradali, energia elettrica, internet veloce, eccetera eccetera. Ma dove? Quando? Al servizio, sempre per esempio, di quegli agglomerati produttivi che da anni subiscono il peso di costi aggiuntivi che i loro competitor nazionali ed esteri non si sognano nemmeno di pagare di tasca propria. Con queste stesse modalità di approccio in regioni meno in ritardo di sviluppo della nostra sono state costruite piattaforme produttive locali in grado di interconnettersi con quelle più grandi e di mettere a frutto il valore aggiunto della qualità che esprimono.
    Ecco, allora, che se non si parte dal metodo, dalla visione condivisa di un modello di sviluppo virtuoso, che esalti i punti di forza e ponga rimedio alle numerose criticità persistenti, non ci potrà essere il salto di scala. Non si cambierà verso ad un’economia che ha enormi potenzialità, ma, purtroppo, eternamente inespresse.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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