Glocal di Ernesto Pappalardo
Nella confusione del quadro istituzionale emerge con sempre maggiore chiarezza la distanza dell’economia regionale dai territori più avanzati.Sviluppo? Com’è lontana Brescia Visto dalla Campania il modello produttivo della provincia Lombarda – tra le prime in Europa – appare irraggiungibile. Eppure la strada da seguire per provare a ripartire è la stessa: prima di tutto puntare sulla manifattura e sul capitale umano delle aziende.
I numeri sono impressionanti. Il Pil del territorio bresciano è pari a 35 miliardi di euro (il 2,7% del Pil nazionale); il valore aggiunto ammonta a 10 miliardi, di cui 9 provenienti dal manifatturiero, con 430mila occupati su 1,3 milioni di abitanti. “Le nostre eccellenze non si limitano all’industria, ma sono nell’artigianato, nel commercio, nel turismo, nella cultura e nell’agroindustria. Siamo una vera forza”. La dichiarazione è del presidente della Camera di Commercio Giuseppe Ambrosi (Il Sole 24 Ore del 26 giugno scorso, articolo a firma di Matteo Meneghello) nel corso della giornata del “protagonismo bresciano” organizzata nell’ambito di Expo 2015 (il secondo di sei appuntamenti studiati da “Sistema Brescia”, un importante contratto di rete nato con la “visione ed il sostegno da parte di istituzioni, enti economici, associazioni imprenditoriali e imprese bresciane per promuoverne un ulteriore sviluppo”).
Ed il presidente degli industriali – Marco Bonometti – ha sottolineato (ancora Il Sole 24 Ore del 26 giugno scorso) in questo modo la “filosofia” che ha consentito di raggiungere traguardi così importanti: “La forza di Brescia sono le imprese e le persone che lavorano nelle fabbriche. Abbiamo saputo superare la crisi proprio perché per ogni azienda c’è una famiglia, che investe e rischia ogni giorno. I nostri territori sono cresciuti grazie alle aziende”. Un altro dato per capire bene di quali potenzialità in termini di investimenti stiamo parlando: le imprese bresciane hanno già programmato di spendere oltre 2 miliardi per l’innovazione e l’aggiornamento tecnologico da qui al 2020.
Che cosa colpisce sotto il profilo dell’esemplarità della “lezione” bresciana al resto d’Italia e, quindi, anche al Sud? Alcune cose paradigmatiche: la centralità del manifatturiero prima di tutto (un aspetto non scontato soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’approccio prevalente con l’industria in senso stretto permane diffidente o, addirittura, ancora negativo); la capacità di allargare lo sguardo al territorio in una visione di sistema anche dal punto di vista della strutturazione organizzativa delle istanze provenienti dal mondo produttivo; non solo industria – quindi – come ha evidenziato il presidente dell’Ente Camerale, ma anche “artigianato, commercio, turismo e agroindustria”.
Se ci guardiamo intorno qui in Campania ed in provincia di Salerno questi tasselli – con punte di eccellenza notevolissime – ci sono tutti. Anzi, rispetto alla provincia di Brescia molto probabilmente nel comparto dell’agroindustria è abbastanza plausibile immaginare margini di crescita addirittura più ampi. Né artigianato e turismo sono dotati di un “patrimonio” ambientale, architettonico e culturale di partenza inferiore a quello della provincia lombarda. Lo stesso si può affermare per la capillarità della rete commerciale.
E’ chiaro che le condizioni di contesto non sono minimamente paragonabili, per carità. Efficienza della pubblica amministrazione, qualità dei servizi a cittadini ed imprese, vicinanza fisica ai mercati del Centro e del Nord Europa molto più ridotta, circuito del credito più accomodante (e si potrebbe ancora continuare per molto ad elencare i “differenziali” di competitività tra le piattaforme territoriali di Brescia e della Lombardia rispetto alla Campania).
Ma il vero problema – quello sostanziale – appare un altro. Mentre tutte le componenti dell’universo economico e produttivo bresciano hanno da tempo messo in campo una logica di sistema (il “Sistema Brescia”, appunto, che sceglie la platea dell’Expo per promuoversi in tutte le regioni del pianeta con le quali ritiene di potere attivare business) , qui da noi mancano all’appello drammaticamente due “pilastri”. Il primo: gli interlocutori istituzionali per pianificare investimenti di medio e lungo termine in grado di stimolare adeguatamente i capitali privati (esogeni ed endogeni); il secondo: la capacità delle forze produttive di dialogare tra di loro senza inutili e sterili protagonismi (tutte hanno pari dignità, pur riconoscendo i differenti contributi alla realizzazione di ricchezza diffusa). Insomma, mentre le regioni più avanzate dimostrano che la centralità del manifatturiero è un valore di riferimento anche dopo la grande crisi e che occorre, comunque, lavorare in un’ottica di crescita multisettoriale, noi rimaniamo indietro a vagheggiare modelli che teorizzano soltanto turismo, commercio e via discorrendo.
E, intanto, la confusione è sempre più grande nel cielo politico ed istituzionale della Campania.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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