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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Lo scenario politico dopo la vittoria alle elezioni regionali degli ex sindaci di Salerno e Bari.Governatori o cacicchi Pd? De Luca ed Emiliano dovranno prima di tutto riaffermare una nuova e più incisiva dialettica con il Governo guidato dal presidente del Consiglio/segretario nazionale del partito nel quale (nel bene e nel male) continuano ancora a militare.

    In questi ultimi giorni sta prendendo sempre più forma la “suggestione” di un Mezzogiorno potenzialmente più “presente” in seno alla politica nazionale attraverso l’elezione di Vincenzo De Luca e Michele Emiliano alla guida rispettivamente della Campania e della Puglia. Lo stesso Renzi ha dichiarato - nel corso dell’ultima riunione della direzione del suo partito - di avvertire fortemente la responsabilità di un Pd che si ritrova alla guida (in pratica) dell’intero meridione. Nello stesso giorno (sempre lunedì scorso) il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita a Napoli, ha evidenziato che “oggi non esiste una strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno”. Da un lato, quindi, la sottolineatura del premier consapevole delle enormi difficoltà da affrontare per fare ripartire il Sud - “una sfida da fare tremare i polsi” -  e dall’altra la sferzata (di Napolitano) a non abbandonare il Mezzogiorno nella palude dell’inconcludenza e – sostanzialmente – di una spending review che fino a questo momento ha penalizzato proprio le aree meridionali. Giusto per rendersi conto: il taglio della spesa - ha spiegato la Svimez - continua a crescere nel 2015 : -3,7% a livello nazionale, quale risultato del -2,9% del Centro-Nord e del 6,2% al Sud. Tagli che al Sud sono particolarmente significativi nell’ambito degli investimenti pubblici. Proprio la spesa pubblica in conto capitale ha registrato riduzioni da due a tre volte in più rispetto al Centro-Nord : -1,6% nel 2013 contro il -0,5% del Centro-Nord; nel 2014 -1,9% contro -0,7% dell’altra ripartizione, arrivando nel 2015 a -2,1% al Sud contro -0,8% del Centro-Nord. Numeri, quindi, non interpretazioni o ragionamenti da salotto.
    Ed è in questo preciso contesto che si colloca l’elezione di De Luca ed Emiliano che dovranno, quindi, prima di tutto riaffermare una nuova e più incisiva dialettica con il Governo guidato dal presidente del Consiglio/segretario nazionale del Pd, il partito al quale (nel bene e nel male) continuano ad appartenere.
    E, allora, è possibile intravedere – al di la di tutti gli argomenti che hanno tenuto banco (a partire dalle conseguenze dell’applicazione della legge Severino al neo governatore della Campania) nella campagna elettorale più brutta che si ricordi da decenni a questa parte – la complessità delle questioni che De Luca ed Emiliano sono chiamati ad affrontare, se veramente intendono smuovere il Sud dalle secche nelle quali si è drammaticamente arenato.
    Il primo problema che dovranno porsi è quello di riaccendere i riflettori sul Mezzogiorno facendolo rientrare dalla porta principale nel dibattito politico/parlamentare dopo anni di assenza più o meno totale dall’agenda delle cose che conta davvero fare (ed anche in fretta). E non serviranno a nulla le prove muscolari o le “superlative” perfomance mediatiche. Saranno necessarie – più banalmente – poche idee forti, ma ben appoggiate su politiche di ampio respiro, capaci di superare gli stessi confini delle singole regioni al fine di delineare una nuova identità economica e produttiva di tutto il Sud. Sarà imprescindibile attingere armonicamente e mediante una programmazione effettivamente strategica ai fondi comunitari (ammesso che il Governo Renzi non continui a tagliare il cofinanziamento e a dirottare risorse a favore degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni). Sperando che non si riduca il tutto ad una rispolverata della “santa alleanza” dei governatori meridionali – mai approdate negli anni passati a nulla di concreto – o al recupero della colorita casistica dei sindaci cacicchi pellegrini.
    De Luca ed Emiliano hanno di fronte due “opzioni”: o faranno squadra alzando l’asticella e puntando ad una nuova stagione di protagonismo delle istituzioni del Mezzogiorno sulla base della capacità amministrativa - tutta da dimostrare in sede di istituzioni di livello regionale - o si ritroveranno a fare i “sindaci” della Campania e della Puglia inseguendo il solito schema dell’uno contro tutti.
    La speranza è che si rompa finalmente il meccanismo dei leaderismi messianici e che si apra una fase capace di valorizzare le migliori energie delle nostre comunità, costruendo più che demolendo, includendo più che escludendo.
    Le esperienze pregresse hanno insegnato ad attendere con attenzione e senza facili entusiasmi la prova dei fatti. I “rinascimenti” sono una “narrazione” affascinante, ma - spesso -  dopo la luna di miele ci si rende conto di avere visto solo un bel film e che la realtà quotidiana è una cosa del tutto diversa.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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