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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Dopo il voto di domenica scorsa restano sul tappeto i veri problemi legati soprattutto al mercato del lavoro.Tra vecchia politica e piagnistei auto/flagellanti La deriva dei partiti e delle coalizioni impone uno scatto di responsabilità collettivo per evitare il riprodursi di antichi luoghi comuni che allontanano la Campania dall’Italia e dall’Europa.

    Cosa resta nella testa dei cittadini campani più o meno una settimana dopo le elezioni regionali? Una sensazione di stordimento e confusione. Si fa francamente fatica a comprendere bene in quale direzione stiamo andando. Non sono soltanto i problemi legati alla legge Severino - rispetto ai quali il segretario nazionale del Pd/presidente del Consiglio non sta dimostrando affatto quel decisionismo che pure in altri ambiti di azione ostenta a più riprese - (e agli scenari istituzionali) a generare perplessità in merito ad un veloce cambio di marcia. No, è principalmente un altro fattore. E’ la constatazione che queste elezioni hanno contribuito sensibilmente ad aumentare la sfiducia verso la classe politica in maniera trasversale. Perché? Perché lo spettacolo - specie quello “offerto” dal Pd nel suo livello più alto - è stato a tratti veramente inquietante. Da un lato il vertice romano dei democrat che solo negli ultimi giorni di campagna elettorale – e per meri calcoli di convenienza in considerazione della “contabilità” generale delle Regioni che si potevano perdere o conquistare – ha virato su Vincenzo De Luca; dall’altro una vera e propria “Arca di Noè” che ha avuto, però, il merito (per De Luca, s’intende) di relegare nell’angolo della sconfitta Stefano Caldoro. A conti fatti, l’unico, “eterno” vincitore della disfida per la Regione è stato ancora lui: Ciriaco De Mita (nella foto in alto). Altro che rottamazione, altro che rinnovamento, altro che nuova stagione alle porte. Questa è la verità dei numeri, non delle opinioni e dei “ragionamenti” sempre condivisibili o meno.
    Insomma, se c’era bisogno di consumare un ulteriore strappo sul terreno della credibilità della politica e dei suoi interpreti, in Campania si è andati anche oltre. Anche perché sull’altro versante - quello che un tempo si poteva fregiare della denominazione di “centrodestra” - è davvero difficile intravedere che cosa resti tra le mani di Caldoro. Né può giovare il rimpallo di responsabilità per la sconfitta, la cui ombra lunga si proietta, per quanto ci riguarda più da vicino territorialmente, sulla partita che si giocherà tra meno di un anno con una posta molta importante: il Comune di Salerno. 
    In altre parole: sia i vincitori, che i vinti sono riusciti nell’impresa di rendere più profondo il solco - ed il livello di astensionismo ne è la perfetta cartina di tornasole – tra eletti ed elettori. Ed è da questa presa d’atto che prima o poi occorrerà seriamente ripartire. Sempre che i vincitori ne avranno la forza (e la voglia). E se i vinti riusciranno a mettere da parte i rancori reciproci per rendersi conto che la lezione della Liguria non ammette più spazi per leaderismi non aggreganti o dispute sul primato di questo o quel partito: è il momento di elaborare una visione strategica per gettare le fondamenta della nuova “casa” comune. Altrimenti i numeri parlano chiaro e non concedono scampo a nessuna aspirazione realistica senza un accordo di ferro tra Fi, FdI e tutti gli altri soggetti di area moderata che non si riconoscono nel centrosinistra.
    Va, poi, aggiunto che tra i protagonisti della prossima vicenda regionale – ed anche comunale – irrompono i Cinque Stelle che acquisiscono un patrimonio di consensi (e di rappresentanza istituzionale) consistente. Senza andare troppo dietro i flussi di voti in entrata o in uscita (è davvero fuorviante il raffronto con le europee), il movimento di Beppe Grillo si ritrova su un piatto d’argento la grande opportunità di mettere in campo proposte in grado di diventare - nella sede assembleare - provvedimenti concreti ed efficaci. Il vero tema – almeno questa è l’ipotesi più auspicabile – non è soltanto quello della protesta e della “vigilanza” civica. Ma è anche (soprattutto?) la dimostrazione (oppure no) di incarnare un valore innovativo in termini di risposta ai bisogni di ampie fasce della società campana che hanno scelto Valeria Ciarambino e la sua lista. 
    Appare, quindi, chiaro che sarà necessario aspettare ancora perché accada qualcosa di pratico in relazione ai problemi che in campagna elettorale sono stati solo sfiorati  sempre – sempre – e soltanto in ragione di un protagonismo mediatico che non ha più alcun senso. Se noi cittadini campani non ci renderemo conto che tutti insieme (senza attese messianiche) dobbiamo necessariamente chiedere uno scatto di responsabilità – imponendolo prima a noi stessi – a quanti ci rappresenteranno nei prossimi cinque anni, continueremo a rimanere agli occhi del resto d’Italia (e d’Europa) quelli del familismo amorale e del piagnisteo auto/flagellante.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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