Glocal di Ernesto Pappalardo
L’analisi delle buone pratiche amministrative nelle aree territoriali “trainanti” del PaeseSe la Regione investe nelle imprese In Veneto diventa operativo un fondo di capitale di rischio per le società cooperative: 2,2 milioni di euro per rafforzare il tessuto produttivo nei confronti del circuito del credito.
Per provare a mettere almeno un piede – sul serio – fuori dalla crisi il primo passo da fare è individuare soluzioni concrete soprattutto sul fronte delle imprese che, pur avendo ancora un profilo competitivo, attraversano momenti di difficoltà legati principalmente alla prolungata caduta della domanda interna (che sola da timidi segnali di ripresa) ed all’atteggiamento “restrittivo” del circuito bancario (che – a quanto pare – risulta particolarmente lento al Sud nel recepire i positivi riflessi del Quantitative Easing di Mario Draghi). Insomma, aiutare le piccole e piccolissime imprese a “traghettarsi” oltre la crisi consentirebbe di arginare due emergenze: la perdita di posti di lavoro che (al netto delle diatribe mediatiche sui dati riferiti al mercato dell’occupazione) è e resterà ancora per molti anni (purtroppo) il vero problema sociale (prim’ancora che economico) delle regioni del Mezzogiorno; il progressivo impoverimento del tessuto produttivo e manifatturiero in primo luogo.
Come spesso accade, c’è poco da inventare. E’ molto più utile, invece, guardarsi intorno e verificare quali sono le buone pratiche che altrove (sempre in Italia) funzionano e danno buoni risultati. Prendiamo il caso del Veneto, dove la finanziaria della Regione (“Veneto Sviluppo”) è da tempo molto attiva nell’equity rivolto alle imprese del territorio e adesso ha deciso di aggiungere un altro importante strumento operativo tra i suoi “prodotti”: un fondo di capitale di rischio per le società cooperative (Il Sole 24 Ore del 12 maggio). “Veneto Sviluppo” si potrà muovere - entrare nelle cooperative – in qualità di socio sovventore o di socio finanziatore con un patrimonio a disposizione del fondo pari a 2,2 milioni di euro. Gli interventi sono rivolti a cooperative in forma di società per azioni. Gli investimenti vanno da 150mila a 200mila euro, mentre la durata è compresa tra i tre ed i cinque anni. Il disinvestimento passa attraverso il buy back (restituzione, da parte della cooperativa, alla fine dei cinque anni, della quota resa disponibile da “Veneto Sviluppo”). Chiaro l’obiettivo: “Vogliamo fungere – ha dichiarato al Sole 24 Ore il vice direttore generale Luca Felletti – da elemento attrattivo e, in qualche modo, da garanzia per altri investitori, innescare un processo virtuoso che può essere seguito in particolare dalla banche”.
Dalle parole ai fatti (in Veneto), sono già diversi i casi concreti di intervento della finanziaria della Regione. Per esempio: Consorzio Tabacchicoltori Monte Grappa, società cooperativa agricola che coltiva tabacco e produce sigari (200mila euro, per supportare l’avvio del progetto “Antico sigaro del Brenta”); Eraclya, cooperativa di Padova con 631 dipendenti che svolge servizi di pulizia, portierato e facchinaggio (200mila euro per il rafforzamento commerciale, il potenziamento del canale web e per l’acquisizione di certificati ambientali e di sicurezza); cooperativa Zanardi, nata a Padova nel 2014 da un progetto di workers buy out ed impegnata nel settore della grafica stampa e legatoria (200mila euro a sostegno del piano industriale per rilanciare la produzione, riattivare i rapporti con la vecchia clientela e rafforzare la struttura commerciale).
Ed è sempre in Veneto che si ritrovano sperimentazioni importanti legate – per fare un altro esempio “adattabile” alla Campania ed alle regioni del Sud – al workers buy out (il “meccanismo” che prevede l’acquisto da parte dei lavoratori della società nella quale operano”. E’ già da tempo avviata la collaborazione tra Regione Veneto ed Unioncamere per promuovere processi di accompagnamento manageriale, fiscale, finanziario e legale, delle imprese in situazione di crisi. Perché? Perché - come segnalato anche in questa rubrica circa un anno fa - proprio la strada dell’attivazione di cooperative di dipendenti che investono i trattamenti di fine rapporto o altre proprie risorse nell’azienda nella quale lavorano e che si avvia al fallimento, è una delle opzioni che alla fine possono rivelarsi strategiche. Sia dal punto di vista occupazionale, ma anche in termini di mantenimento di presidi produttivi prioritari per i territori.
E’ evidente che nella programmazione delle iniziative che la Regione (in Campania) potrebbe (dovrebbe) rendere operative fin dal giorno dopo le elezioni, rientra senza alcun dubbio un piano alternativo al sostegno “classico” previsto per le aziende in difficoltà. Un piano capace di puntare al mantenimento strutturale del ciclo produttivo, più che al pur sacrosanto sostegno al reddito dei lavoratori.
Ma, per il momento, il tema è quasi del tutto assente dalla campagna elettorale. E anche questa, purtroppo, non è una novità.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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