Glocal di Ernesto Pappalardo
Gli indicatori di sviluppo in campo negativo sollecitano interventi urgenti ed adeguatiRipartenza, serve un “piano industriale” Occorre avviare la stesura condivisa di una mappa delle priorità per giungere ad una “short list” di progetti, iniziative, provvedimenti sui quali lavorare fin dal giorno dopo le elezioni.
Recuperare la “visione”. Mettere al centro dell’attenzione l’idea “predominante”, il riferimento prioritario in base al quale elaborare un programma di sviluppo chiaro, articolato in pochi asset strategici e ben ancorato a coperture finanziarie perfettamente identificabili. Insomma, non dichiarazioni d’intenti o elencazioni da campagna elettorale. Per intendersi: un vero e proprio piano “industriale” della Campania - partendo dai territori e dai “cluster” produttivi in essi rintracciabili - declinato attraverso i cinque anni di legislatura. Non interventi spot (e senza impantanarsi nei “fatidici” primi cento giorni di governo), ma un percorso serio, non raffazzonato con sapienti “taglia e incolla” da parte di quella tecnocrazia che di fatto rende a parole possibile ogni cosa, mentre sul piano pratico mira prima di tutto a rafforzare il proprio potere d’interdizione, se non di intermediazione politica, prim’ancora che burocratica/amministrativa.
Il primo passo, quindi, per voltare pagina dovrebbe essere proprio questo. Interrogarsi - certamente non nel chiuso di qualche stanza con i soliti tre/quattro oracoli onnipresenti nell’arena mediatica - su quali sono le prospettive di crescita socio-economica più plausibili nel medio periodo ed avviare la stesura condivisa di una road map di cose da fare per giungere in brevissimo tempo ad individuare una short list di progetti, iniziative, provvedimenti sui quali lavorare fin dal giorno dopo le elezioni.
Il problema preliminare risiede nel processo di condivisione di questa short list. Perché, in realtà, il vero limite epocale della classe politica e della classe dirigente campana (che si fa fatica davvero a rintracciare in maniera diffusa) è stato ( e continua ad essere) proprio quello di non lavorare costantemente e pazientemente alla costruzione di un disegno sul quale fare maturare convergenze reali e non di facciata da parte di tutti gli attori indispensabili al processo di ripartenza: amministratori locali, imprenditori (ed associazione datoriali), organizzazioni sindacali e corpi intermedi in maniera ampia. Non si tratta di recuperare la stagione della concertazione (che pure non va demonizzata come si tende a fare nel momento di massimo splendore del decisionismo a tutti i costi e della volontà di “rottamazione” del sindacato), ma di tenere ben presente un principio funzionale all’effettiva necessità di remare tutti nella stessa direzione. Il dialogo tra sordi e le finte intese, gli accordi di facciata e via discorrendo non hanno mai portato da nessuna parte. E non solo in Campania.
Il punto di partenza, però, resta sempre recuperare la dimensione della risposta rispetto alle istanze vere e concrete provenienti dal basso. Che cosa chiedono le imprese? Quali sono le necessità più urgenti? Su quali criticità è indispensabile intervenire subito? Ma, nello stesso tempo, è sostanziale riformare e ristrutturare la “macchina” che deve realizzare le cose che troveranno posto (?) nella “lista corta”. La Regione, cioè, deve diventare un Ente capace di operare in tempi molto più stretti ed attraverso meccanismi agili, performanti, trasparenti. Insomma, il software (piano industriale) non può che girare su un hardware (la struttura tecnico/amministrativa) adeguato alla sfida che si ha di fronte. Una sfida che pare proprio eccessivamente sottovalutata dalle parti che si fronteggiano per la vittoria elettorale. Perché è la sfida della sopravvivenza. La Campania è pericolosamente in bilico tra una forte accelerazione per mettersi alle spalle indicatori molto lontani dalle medie delle regioni del Centro-Nord e dell’Europa, e una persistente crisi che sta sfiorando da tempo il punto di rottura delle dinamiche di coesione sociale. Tra i primi problemi da affrontare (ed è opinione sempre più estesa) rientrano, non a caso, lo studio e l’attuazione di una nuova politica (non clientelare) di inclusione sociale in un ambito molto più ampio (soprattutto in termini di servizi e di assistenza) del sostegno al reddito. Occorrerà, cioè, tenere conto che la fascia di povertà (nelle sue varie accezioni) è il primo terreno sul quale dare prova di essere una regione veramente europea (e non solo per appartenenza geografica).
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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