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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Come di consueto la settimana di Pasqua si trasforma in test per le previsioni estive.Turismo, l’eterna sfida perduta Nella fondamentale partita per captare i flussi di visitatori stranieri le regioni del Sud continuano ad essere in ritardo. Solo il 12 per cento di quanti arrivano dall’estero visita il Mezzogiorno.

    Ci risiamo. Con l’arrivo della settimana di Pasqua iniziano i soliti dibattiti sulle potenzialità “inespresse” del turismo al Sud. E’ una pratica che dura da decenni e che si conferma ogni anno in netto peggioramento. Perché? Perché proprio quando le dinamiche “macro” evidenziano l’aumento dei flussi di visitatori dall’estero, tanto più aumenta il tasso di “appropriazione” di meriti (imperscrutabili, per la verità) da parte dei politici nostrani. Poi, però, arriva lo studio approfondito ed articolato – in questo caso della Confcommercio (presentato a Cernobbio nei giorni scorsi) – che dimostra come proprio nelle regioni del Mezzogiorno sia più alta l’incapacità di attrarre gli stranieri: solo il 12 per cento dei turisti provenienti da oltre confine visita le regioni meridionali. Sarà un caso? Sarà un “complotto” internazionale? Sarà un’incredibile coincidenza “ciclica”?
    Senza girare intorno al problema di fondo, la verità – sintetizzata dai curatori del report sopra citato – è che “occorre puntare su tutte le tipologie di turismo che caratterizzano l'offerta italiana e sul potenziale di crescita del Mezzogiorno che, con 6 milioni di arrivi sui 50 complessivi, da la dimensione dello scarso utilizzo della sua capacità attrattiva”. Insomma, la diagnosi è chiarissima (e antica): scarsa capacità attrattiva, aggravata, per la verità, da una costante e reiterata insufficiente attitudine a “fare rete” (concetto ormai diventato luogo comune letterario), a “fare sistema” (idem come prima), ad abbandonare le logiche di presidio territoriale di stampo neomunicipale.
    Quali sono i mali endemici segnalati dalla Confcommercio? La mancanza di integrazione dei servizi sul territorio ed il deficit infrastrutturale che “fanno sì che il nostro Paese non sia in grado di proporre ai turisti stranieri un bouquet di offerta più ampio e, dunque, maggiori occasioni di spesa”. Tutto ruota, quindi, intorno al problema della permanenza media. “A ben vedere - evidenzia sempre la Confcommercio - le differenze tra i modelli di turismo di Italia, Spagna e Francia hanno un evidente riflesso sulla permanenza media. In Spagna siamo stabilmente intorno ai cinque giorni, in Italia a meno di quattro ed in Francia a meno di tre. Se il turismo straniero in Italia toccasse il livello di permanenza media della Spagna le entrate valutarie salirebbero di 14 miliardi di euro”. Ed ancora: “Sarebbe già un ottimo risultato un obiettivo intermedio, ossia l’incremento del 20% della permanenza media a 4,4 giorni per turista. Gli effetti sulle entrate valutarie sarebbero di +6,9 miliardi di euro”. Stiamo parlando, quindi, di numeri estremamente importanti. Ma “l’aumento della permanenza media - dicono gli analisti - non si realizza, tuttavia, a colpi di bacchetta magica. Occorre anzitutto capirne l’interazione con i diversi turismi e con le diverse aree turistiche”.
    Se, poi, entriamo ancora più nel merito delle cifre in ballo ci rendiamo conto degli enormi ritardi che pesano ancora sulla testa dell’estesa filiera degli operatori del settore (peraltro anch’essi affetti da vista miope e sindrome eccessivamente individualistica).  In Italia la spesa per arrivo è di 681 euro, contro i 914 euro della Francia e 959 euro della Spagna. In Italia “gli stranieri spendono meno perché minore è la spesa media per pernottamento (un turista straniero spende 312 euro in Francia contro i 186 in Italia) e perché è più breve la durata del soggiorno (la permanenza media è di 5,1 giorni in Spagna e di 3,7 giorni in Italia)”. E’ per queste motivazioni che - come si diceva prima – al nostro turismo mancano potenziali risorse generabili per qualcosa come 14 miliardi di entrate valutarie (quasi 1 punto di Pil). Solo un ultimo “dettaglio”: nel 2014 il turismo straniero in Spagna ha generato entrate per 49 miliardi di euro, in Francia per 42 miliardi di euro ed in Italia per appena 34.
    Ma se parlate o ascoltate qualsiasi politico ed amministratore che interviene sul turismo (praticamente tutti: dal presidente del Consiglio al sindaco del Comune più piccolo d’Italia) vi racconterà che il settore è in ripresa e che è merito del buon lavoro che è stato svolto. Tutto ok, naturalmente. Anche per questo siamo il Paese più bello e fantasioso del mondo.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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