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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La conferma arriva dal settimo rapporto annuale (2014) realizzato da Intesa SanpaoloLo sviluppo nasce ancora nei distretti Nel 2015-16 previsto un aumento del fatturato pari al 3,2%. Nel perimetro di questi importanti agglomerati industriali si risconta una maggiore capacità di esportare, effettuare investimenti all’estero, registrare brevetti e marchi. 

    Ammesso che si rendesse necessaria un’ulteriore conferma, puntuale è giunta l’analisi di Intesa Sanpaolo (Settimo Rapporto annuale) che ha chiarito come i distretti industriali rappresentino ancora le agglomerazioni più reattive e competitive nell’attuale scenario economico/congiunturale. E’ evidente, quindi, che anche e soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo come, per esempio,  la Campania e la provincia di Salerno, sia indispensabile lavorare nella direzione della costruzione di un modello di crescita che abbia come riferimento il sistema distrettuale “costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva, in genere concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale” (treccani.it). 
    Al di la, quindi, della presenza più o meno strutturata nel Salernitano del distretto delle conserve (Agro Sarnese Nocerino), le indicazioni che provengono dallo studio di quanto è accaduto (ed accade) negli anni più difficili del dopoguerra, invitano a mettere in campo misure ed iniziative concrete, capaci di favorire dinamiche aggregative e percorsi  di filiera in sintonia con il tessuto delle imprese più vitali che hanno resistito all’onda d’urto della crisi e che ora intendono porsi in posizione più favorevole rispetto alla leggera brezza della crescita che inizia a farsi avvertire. 
    Rispetto a qualche anno fa, va aggiunto che – grazie al fondamentale apporto delle nuove tecnologie e al superamento dei tradizionali “vincoli” geografici attraverso la “digitalizzazione” delle relazioni tra imprese – è possibile immaginare la nascita di distretti “meta/territoriali”, basati, cioè, sugli interessi reciproci delle aziende che possono entrare in contatto non solo nella fase della commercializzazione, ma anche negli step più strettamente legati ai percorsi produttivi. Insomma, la vera lezione che arriva dai numeri inerenti la “narrazione” dei distretti sottolinea come la via italiana alla manifattura costituisca un esempio che regge nel tempo e si propone ancora come paradigma per i prossimi anni. Questo è il dato di fatto intorno al quale tutti gli attori – ai diversi livelli: locale, provinciale, regionale, nazionale – sono chiamati a dare risposte. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove la polverizzazione delle aziende e la carenza di comuni strategie di mercato impediscono di capitalizzare un patrimonio spesso unico al mondo in termini di qualità del prodotto finale. 
    Le stime riferite al 2014 “confermano - si legge nello studio di Intesa Sanpaolo - la maggiore dinamicità dei distretti, attesi registrare una crescita del fatturato vicina all’1%, a fronte di una sostanziale stagnazione dell’attività produttiva nell’intera industria manifatturiera italiana”. Ma - ed è questo il trend sostanziale – “tra il 2008 e il 2014 sono quasi 5 i punti percentuali di crescita in più per le imprese dei distretti rispetto alle aree non distrettuali”. E nel biennio 2015/2016 - sempre secondo le previsioni degli analisti di Intesa Sanpaolo - si dovrebbe assistere a un’accelerazione del ritmo di crescita delle imprese distrettuali, diffusa a tutte le principali filiere produttive. In termini mediani, l’aumento previsto del fatturato è del 3,1% nel 2015 e del 3,2% nel 2016”. In altre parole “a fine 2015 i distretti avranno quasi interamente recuperato i livelli di fatturato del 2008, chiudendo definitivamente il gap accumulato nel quadriennio 2008-12. Per l’intero manifatturiero italiano bisognerà attendere almeno fino al 2018 per vedere un pieno recupero”. 
    Siamo, quindi, di fronte ad una perfomance che di per sé diventa il quadro di riferimento per quelle famose politiche industriali che si annunciano quasi ogni giorno, ma che, poi, purtroppo, non si realizzano mai. Quali sono gli “ingredienti” del successo dei distretti? In estrema sintesi: è emersa “una nuova generazione di imprese leader, in rapida crescita dimensionale, caratterizzate da vantaggi competitivi basati sulla ricerca e sull’innovazione”. E queste “nuove leadership hanno esercitato un ruolo di traino e contribuito alla progressiva accumulazione nei distretti di conoscenza tecnologica e dei mercati”. Ecco perché “nei distretti è, infatti, maggiore la capacità di esportare (il 42% delle imprese sono esportatrici, contro il 32% delle aree non distrettuali), effettuare investimenti diretti esteri (31 partecipate estere ogni 100 imprese contro 22), registrare brevetti (61 brevetti ogni 100 imprese vs 42) e marchi (39 marchi ogni 100 imprese contro 20)”.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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