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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La liberalizzazione operativa dal 1° aprile rischia di spazzare via un’intera filieraSenza quote latte piccoli produttori a rischio Majone (Vallepiana): “Nessuno si rende conto del dramma in atto, eppure basterebbe tutelare meglio e concretamente la qualità per mantenere o aumentare le quote di mercato”.
    “In provincia di Salerno sono in ballo circa 1.500 posti di lavoro tra occupazione diretta ed indotto, ma nessuno si è mosso per tempo. Ora occorre mettere in campo un piano di salvataggio”.

    di Ernesto Pappalardo

    La scadenza del 1° aprile (ormai alle porte) sta passando del tutto inosservata, mentre, invece, significa “l’inizio della fine”. Il copyright è di Gioacchino Majone - presidente dell’azienda “Agricola Vallepiana srl” (4.000 litri di latte fresco di alta qualità al giorno provenienti da circa 300 capi di allevamento rigorosamente selezionati) - nella sua veste di presidente della sezione lattiero/casearia di Confagricoltura Campania e si riferisce alla liberalizzazione delle quote latte (introdotte nel 1988). “Andiamo incontro – dice Majone a salernoeconomy.it – ad una catastrofe produttiva ed occupazionale che, per la verità, si sta concretizzando già da diversi anni. Ma adesso arriverà il colpo di grazia: delle poco più di 3.000 stalle operative in Campania nel 2014 (erano 10.000 negli anni ’90), ne rimarranno aperte a stento un migliaio. Ed in provincia di Salerno tra addetti diretti ed indotto andranno in fumo più o meno 1.500 posti di lavoro. Non mi pare che si stia facendo qualcosa di concreto per impedire che accada tutto questo”.
    Presidente Majone, ma di fronte alla liberalizzazione delle quote è evidente che i più piccoli non riusciranno a sostenere la contrazione dei costi alla produzione. Lei stesso ha spiegato in altre occasioni che al di sotto di 0,40 centesimi di euro al litro non è possibile stare sul mercato al Sud. Ora, se si pensa che in Europa il costo medio al litro oscilla tra 0,32 e 0,34 centesimi, è una partita persa in partenza. O no?
    “Nelle cifre che lei ha ricordato c’è tutto il dramma che stiamo vivendo noi piccoli produttori anche rispetto alle regioni italiane più forti sul piano quantitativo: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia, solo per fare gli esempi più importanti, dove si concentra l’80 per cento della produzione nazionale. Se la Lombardia aumenta solo del 5 per cento la sua capacità, raggiunge tutta la quota della Campania. Ed è uno scenario che con grande probabilità si verificherà in poco tempo”.
    E, allora, pare di capire che c’è ben poco da fare . . . 
    “La situazione è ovviamente molto difficile. Ma quello che stiamo dicendo da tempo è che è profondamente sbagliato rinunciare del tutto a giocare la partita. Abbiamo un patrimonio qualitativo da salvare. Non si può abbandonare un comparto che da questo punto di vista può sostenere qualsiasi confronto. Sono fermamente convinto che, invece, alla fine lo spazio per i “piccoli” sarebbe ampiamente disponibile Anzi, con il tempo è destinato ad acquistare sempre maggiore peso a livello nazionale ed internazionale. Anche se non sarà facile e molti allevatori e produttori saranno travolti. Mi chiedo, per esempio, che cosa resterà qui da noi di questo segmento che unisce allevatori, imbottigliatori e altri protagonisti di una filiera strategica per il segmento del latte fresco di alta qualità? Poco o nulla, purtroppo”.
    Sul piano pratico che cosa potrebbe essere d’aiuto?
    “Occorre perseguire con convinzione l’obiettivo di tutelare la qualità tipicamente italiana del latte. Sto parlando del latte fresco intero di “alta qualità” (Decreto 185/1991) che rimane centrale nella sana e corretta alimentazione soprattutto dei bambini, oltre che degli adulti. Il latte resta un alimento completo e ben  equilibrato, purché fresco e - ancora meglio - con le caratteristiche di “alta qualità”. Ma, ripeto, sarebbe necessario un approccio culturale diverso a cominciare dall’impostazione della dieta negli asili e nelle scuole elementari”.
    La normativa per il latte fresco di alta qualità è molto rigorosa, unica in Europa. Si parla del confezionamento al massimo entro 48 ore dalla mungitura, con una scadenza di massimo 6 giorni per il consumo. Lei ritiene che i costi connessi al raggiungimento di questa qualità – 32 grammi di proteine per litro – siano davvero alla portata dei produttori del Sud?
    E’ ovvio che è necessario programmare interventi specifici per queste nicchie di produzione, ma non vedo altre strade. Si tratta di un problema molto serio di approccio culturale all’alimentazione. La qualità come valore significa rivalutare anche la centralità del territorio dal punto di vista della cura dei terreni, degli animali e del paesaggio. Significa, cioè, mantenere in piedi un sistema che non ha pari al mondo e che consente di interagire con altri segmenti economici come un particolare segmento di turismo legato alla valorizzazione dell’identità dei luoghi. Insomma, è un discorso molto complesso che presuppone una visione strategica delle dinamiche di crescita delle varie aree del Mezzogiorno che non possono essere desertificate in questo modo. Il patrimonio del tanto richiamato Made in Italy è fondato proprio su queste basi. Non sull’omologazione verso il basso degli alimenti e delle filiere produttive”.


     


    Gioacchino Majone, presidente azienda “Agricola Vallepiana”
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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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