Glocal di Ernesto Pappalardo
Il dibattito sul cambiamento negli ultimi vent’anni dell’identità produttiva della città capoluogoE ora archiviamo la “sindrome” di Sparta
L’isolamento all’interno dell’area vasta (rispetto alla provincia, ma anche in relazione ai bacini territoriali di Avellino e Benevento) che cosa ha determinato? Un “ibrido fertile” (si spera).
Non è ancora del tutto emerso il “ritratto” di “che cosa” sia oggi la città di Salerno dal punto di vista dell’identità economica dopo oltre un ventennio di sindacato di Vincenzo De Luca. In altre parole, è curioso che non si sia trovato il tempo (e l’occasione) per provare a “leggere” approfonditamente che cosa sia accaduto negli ultimi due decenni nella sfera della capacità produttiva di Salerno. Va chiarito subito, per esempio, che Salerno non ha di certo risolto il “rapporto” con l’area vasta nella quale è inserita: un rapporto che è molto probabilmente all’origine di una serie di ritardi sostanziali nella ricerca di una strada non ondivaga verso uno sviluppo meno effimero e più strutturato. Né, per la verità, ha giovato l’atteggiamento “neo-municipalistico” messo in campo dall’Amministrazione Comunale in svariate circostanze più per questioni di identità politica che di visione economica vera e propria. Legare le sorti della crescita di una comunità quasi esclusivamente al progetto di trasformazione urbana nel tempo si è rivelata una decisione per molti versi opinabile, anche se ha assunto a tutti gli effetti i connotati di opzione strategica (condivisibile o meno, naturalmente).
Il problema di fondo, però, potrebbe essere anche un altro: da un lato non si è scelto di lavorare pienamente alla costruzione di una città-capofila della sua area vasta; dall’altro si è per troppo tempo assistito al declino dell’apparato industriale senza immaginare come convertirlo, magari spingendo a fondo sulla parola-chiave dell’innovazione tecnologica connessa agli asset predominanti nel territorio provinciale (ad esempio: a Nord il distretto delle conserve; a Sud le filiere dell’ortofrutta e della mozzarella di bufala). Insomma, nell’ansia imposta dalla “sindrome di Sparta” (auto-sufficienza propulsiva), non si è mai pensato ai vantaggi che sarebbero potuti derivare dal mettersi a capo di una “Lega di Delo”: tutti insieme nella consapevolezza della preminenza funzionale (sotto l’aspetto progettuale) della città-capoluogo. L’isolamento all’interno dell’area vasta (rispetto, cioè alla provincia, ma anche in relazione ai bacini territoriali di Avellino e Benevento) che cosa ha determinato? Un ibrido fertile (per rubare le parole al prof. Pasquale Persico)? Per il momento ancora non sappiamo, per la verità, se l’ibrido è fertile. Siamo più semplicemente nella fase embrionale dell’ibrido. Siamo, cioè, in presenza di una città che è alle prese con enormi problemi di disoccupazione (anche intellettuale) e che, soprattutto, non è ancora pienamente consapevole della necessità di recuperare un progetto multi-vocazionale. Va bene la trasformazione urbana (tra molti dubbi); va bene il turismo e tutto quello che ne consegue, ma non si può pensare di non investire sulla produttività industriale legata principalmente al motore della ricerca e dell’innovazione. Esempio pratico: ma la città-laboratorio che rende disponibile il know how all’avanguardia per le due filiere di riferimento (agro-alimentare ed ortofrutta) non disegnerebbe scenari di crescita sostenibile e, soprattutto, in grado di trattenere sul territorio quei famosi “cervelli” salernitani costretti a cercare fortuna all’estero?
Oggi che cosa sono diventati, in realtà, Salerno e la sua provincia? La radiografia che emerge dalla ricerca Abi/Censis (“Territorio, banca, sviluppo. I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi”, Roma, gennaio 2014) è chiara e dettagliata: la provincia di Salerno rientra in un raggruppamento di territori identificato come un “mix destrutturato industria - commercio- turismo”. Al di la dei tecnicismi, siamo in presenza di un’area alle prese con un’identità socio/economica complessa. “Questo sistema territoriale - è scritto nel documento analitico in riferimento alle 12 province che ricadono nel gruppo in questione - appare, così, in mezzo al guado, spinto da forze diverse e innervato da settori produttivi differenti, nessuno dei quali riesce, attualmente, ad esprimere una vera spinta propulsiva”. Un territorio, quindi, senza un percorso ben delineato davanti, per mancanza di visione degli attori locali, ma anche di programmazione sufficientemente incisiva da parte dei livelli istituzionali regionali e centrali. Ogni comunità in questo momento dovrebbe, invece, essere in grado di elaborare un proprio percorso ben radicato nell’unico bacino di risorse che è effettivamente fonte finanziaria certa: i fondi strutturali Ue. E’ urgente individuare la traccia per superare almeno qualcuno dei problemi in campo: sarebbe utilissimo per ridare un barlume di fiducia a cittadini ed imprese.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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