Glocal di Ernesto Pappalardo
La campagna elettorale per le regionali relega in secondo piano le problematiche strutturali del sistema produttivo campanoTra libri dei sogni, cacicchi e sviluppo
Non si scorge nei programmi (ad uso e consumo del circuito mediatico) alcun accenno all’esigenza di mettere in campo progetti di rilancio dell’economia in area vasta. Prevalgono ancora sterili localismi.
Il tema cruciale è sempre lo stesso: come attivare dinamiche capaci di rianimare la disastrata economia della Campania e della provincia di Salerno? Tema, ovviamente, non nuovo, ma – tanto per cambiare – solo marginalmente oggetto di approfondimenti seri (non ad uso e consumo del circuito mediatico) da parte di chi pure si candida alla guida della Regione. Al di la della complessa “fenomenologia” del “nulla” propositivo dei partiti (che è tipico del modo di affrontare le campagne elettorali perché, naturalmente, non ci si vuole alienare alcun “target” ritenuto più o meno appetibile), resta il fatto che è difficile comprendere il modello di sviluppo al quale si fa riferimento da parte della cosiddetta “filiera” istituzionale. Una “filiera” che alla prova dei fatti non esiste in quanto Comuni, Province e Regione da anni ritengono di non avere alcun “vantaggio” politico – tranne in rarissimi casi – ad andare d’accordo. Con buona pace del supremo interesse (l’unico che dovrebbe realmente contare) dei territori che sono chiamati a governare. Senza considerare la guerra aperta che per cinque anni ha contraddistinto i rapporti tra il capoluogo Salerno e la Regione Campania, occorre valutare anche le incredibili ed incomprensibili “guerriglie” di campanile tra i cacicchi/sceriffi/sindaci che popolano la geografia degli altri 157 Comuni ricadenti nel Salernitano. Manco a parlare di “Unione” di Comuni o di incisività dell’azione dell’Ente Provincia, peraltro stritolato dall’azione del governo centrale in nome di chissà quale attendibile spending review. Il risultato di quest’azione “demolitoria” è sotto gli occhi di tutti. Strade e scuole che rischiano di cadere a pezzi ed annientamento – al di la della coloritura politica e della capacità amministrativa di quanti hanno ricoperto incarichi istituzionali in seno all’Ente – dell’unico, vero profilo di governance in area vasta. Ed è proprio da questo concetto che occorrerebbe partire per provare a ridefinire le priorità di base, per così dire, da calare sul tavolo di qualsivoglia programma per i prossimi cinque anni di legislatura regionale.
E, invece, che cosa accade? Nessuno parla, per esempio, dell’indispensabile riposizionamento della Regione (intesa come Ente) verso Salerno, Avellino e Benevento in virtù del decollo (che prima o poi accadrà) della Città (Area) Metropolitana di Napoli (naturalmente dialogante con la provincia di Caserta). Nessuno fa il minimo accenno all’urgenza di realizzare al più presto il riassetto funzionale delle reti di trasporto di persone e merci (tanto per cominciare) tra le aree interne e costiere sull’asse Sa-Av-Bn. Insomma, i libri dei sogni continuano ad abbondare, come pure le declamazioni di quello che sarebbe veramente importante realizzare per questi nostri territori così sconsolatamente in ritardo di sviluppo. Ma la verità è che la credibilità della classe dirigente meridionale e campana segna il confine invalicabile oltre il quale si collocano fiducia e speranza: i due elementi sostanziali per rimettere in moto ogni tentativo di costruzione dalle fondamenta di un vero e proprio piano industriale regionale. E’ questo il primo punto di ogni programma politico ed amministrativo non campato in aria. Va bene ogni cosa: turismo, beni culturali, terziario avanzato, start up ad alto tasso di innovazione tecnologica. Ma se non rimettiamo al centro l’industria, il manifatturiero export oriented e naturalmente strutturato per stimolare aggregazione di aziende (cluster produttivi), non genereremo autentica ricchezza con tutto quello che ne consegue. E non si tratta di investire sugli asset vincenti perché non esistono più i comparti “trainanti”, ma solo aziende che competono e vincono ed altre che magari ci provano pure, ma, purtroppo, perdono.
Fino ad oggi non è stato possibile ascoltare una sola parola chiara - e, soprattutto, realmente capace di attivare partnership (ed investimenti) con il privato - dalla politica che si candida al governo della regione in questo ambito di riferimento. Quadro troppo triste? Può darsi. Ma è con tale contesto che tocca fare i conti. Insomma, questo passa il convento. E c’è poco da stare allegri.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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