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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La politica? Una palla al piede

    Di solito il breve break pasquale serviva a tirare un po’ il fiato, a guardare indietro, allo start up dell’anno nuovo e ad alzare la testa verso la meta del primo semestre, vero spartiacque del ciclo economico e produttivo. E, invece, anche nel 2012 si naviga a vista. Neanche più i trimestri si attendono per rendicontare lo stato di una crisi che continua a picchiare duro sulla pelle di imprese, famiglie, singoli cittadini. Insomma, c’è poco da stare allegri. Ogni tanto il premier Monti ci ricorda che senza il suo team di professori saremmo diventati tutti un po’ greci. I partiti dal canto loro non perdono occasione per palesarsi per quello che sono: assolutamente inaffidabili, ben aggrovigliati nei propri interessi (soprattutto economici) e ben lontani dalla sensibilità della gente comune, quella che ogni mattina deve alzarsi ed andare a lavorare (quando è fortunata). E’ chiaro che in una provincia del Sud – per quanto ben diversa da realtà territoriali effettivamente inabissate in ritardi che al momento appaiono incolmabili – tutto diventa molto più difficile e complesso. Anche quello che sarebbe banalmente inevitabile: provare ad incamminarsi tutti insieme verso un progetto di rilancio produttivo senza fare troppe storie, senza rispolverare antagonismi davvero difficili da comprendere in questa situazione. Basta – al contrario – un minimo test elettorale alle porte e, addirittura, si recuperano i toni da crociata (anche ideologica) che credevamo fossero, ormai, armamentario più adatto alle sceneggiature di Guareschi. La nota stonata della politica – che tracima molto spesso nelle Istituzioni che governa – fa sentire tutto il suo peso negativo. La politica diventa, cioè, una palla al piede per gli attori sociali che in questa fase stanno provando a rimboccarsi le maniche e a mettere in campo pragmatismo e azioni concrete. I segnali più significativi arrivano non a caso dal mondo delle categorie produttive e da chi in vari ruoli le rappresenta; dal sindacato ed anche da singoli imprenditori che tengono duro e vanno avanti, senza farsi tentare da delocalizzazioni anche molto vantaggiose. Insomma, il mondo del “fare” si è reso conto che non può più delegare niente a nessuno, men che meno alla politica, che – per quieto vivere – va sopportata ed in taluni casi “assecondata”. A conferma di quest’analisi si potrebbero evidenziare non poche iniziative di recente attivate proprio nel mondo delle imprese che partono da esigenze concrete e reali: rapporti con il mondo del credito; innovazione; richieste di ridefinizione dei tempi di pagamento da parte delle Pubbliche Amministrazioni; tentativi encomiabili di risolvere vertenze drammatiche per il futuro di centinaia e centinaia di famiglie. In altre parole, si può cominciare a pensare che il famoso tavolo del “sindacato del territorio” si sia già auto-convocato e che non ha assolutamente intenzione di aspettare la politica e chi la rappresenta nelle Istituzioni. Ha deciso – saggiamente – di andare per la sua strada, perché sa bene che non si può continuare a pagare il conto (salato) di un modo di amministrare e governare che regala suggestioni, mentre pezzi importanti dell’apparato produttivo sono desolatamente soli nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ben vengano accordi, sportelli operativi, intese e progettualità di ampio respiro: non c’è più tempo da perdere, né c’è più spazio per “battaglie” di schieramento partitico. Anche perché a Roma c’è l’Abc (Alfano, Bersani, Casini) che sta mandando in soffitta vecchie maggioranze ed obsolete opposizioni. Sarebbe più utile mettersi a lavorare seriamente per salvare la casa, senza stare a sgomitare per chi deve chiudere le finestre in cambio di vittorie elettorali che assomigliano molto a quelle di Pirro. Magari si potrebbero fare le prove generali per chiedere conto alla Regione di un paio di cose difficilmente digeribili: contratti di programma ancora bloccati con le imprese nel guado; due pesi e due misure per il costo chilometrico dei trasporti pubblici; improvvise disponibilità finanziare per eventi promozionali internazionali (che, comunque, non è possibile mettere sensatamente in discussione) e, però, ferrea rigidità nel reperire fondi per cause socialmente più rilevanti (e qui l’elenco sarebbe lunghissimo). Ma, intanto, dovremo sorbirci l’ennesima campagna elettorale per le amministrative con i “buoni” ed i “cattivi”. Il solito film già visto tante volte, con buona pace di Monti e dei professori. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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