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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I primi bilanci di un anno che si chiude sotto il segno di indicatori ancora negativiL’annuncite? Non cura la crisi Troppa distanza tra la programmazione degli interventi e la loro reale attuazione. Prevalgono decisionismi e localismi senza alcuna considerazione del valore della coesione sociale.

    In prossimità dell’ultima curva del 2014 sono in tanti a ripensare ai dodici mesi appena trascorsi provando ad individuare qualche elemento che autorizzi un atteggiamento di attesa meno negativo rispetto al 2015. Insomma, non si tratta di manifestare ottimismo, ma, almeno, di intravedere qualche spiraglio, qualche avvisaglia di cielo sereno dopo tanti mesi trascorsi sotto la pioggia di numeri ed indicatori con il segno meno. E non è solo questione di calcoli statistici. La verità è che ormai il tempo della recessione si è dilatato a dismisura: imprese e famiglie sono sotto pressione da anni ed avrebbero bisogno, invece, di un’iniezione di fiducia. Perché la parola-chiave per ridare ossigeno all’economia meridionale (e campana in particolare) è proprio questa: fiducia.
    A complicare le cose si aggiunge l’agguerrito clima politico che non promette nulla di buono per i prossimi mesi. Cambiando l’ordine degli schieramenti in campo il risultato cambia davvero poco: è manifestamente chiaro che non c’è alcuna possibilità di recuperare un minimo di unità d’intenti almeno sulle poche (ma buone) cose che si possono fare per ricreare le condizioni minime ed indispensabili alla sopravvivenza di tante piccole e micro imprese – come, per esempio, quelle del comparto delle costruzioni – annichilite dal drastico ridimensionamento degli investimenti pubblici. E, invece, no. Fino a quando non si arriverà al voto per la Regione tutto galleggerà nel nulla pre-elettorale fatto di promesse e di illusioni: quanto di peggio ci si possa aspettare nella situazione attuale dell’economia campana.
    E’ diventato davvero difficile, solo per rendersi conto di quanto sta accadendo, capire bene che cosa ne sarà dei fondi strutturali ancora non spesi del ciclo ormai concluso (2007-2013) prima della scadenza definitiva di dicembre 2015. Per non parlare della programmazione 2014-2020 avvolta - anche al di la delle intenzioni di chi è chiamato ad impiegarli - fino a questo momento in una nebbia impenetrabile per quanti non sono addetti ai lavori.
    La cosa più grave, però, è, per così dire, un elemento di continuità con il passato. Da un lato non si riesce a percepire - e, quindi, viene meno il pieno e convinto coinvolgimento degli attori (anche solo di quelli principali) della catena dello sviluppo locale - un’idea semplice e ben delineata sulla quale costruire gli anni della ripartenza dopo la grande crisi (che, in ogni caso, è ancora in atto); dall’altro si assiste al perpetuarsi di un processo di frammentazione politica, istituzionale e sociale derivante da un sempre più spinto verticalismo decisionale. La consapevolezza che non si possono determinare cambiamenti consistenti e sostanziali in sede comunale, provinciale e (più spesso di quanto si pensi) regionale stimola ulteriormente una dinamica negativa. Finiscono con il prevalere non solo ben conosciuti fenomeni di deleterio localismo politico-istituzionale, ma anche fantasiose ed inconcludenti ricerche di soluzioni accomunate dalla mancanza di “collante” sociale. Viene meno, cioè, ogni residua forza coesiva che, invece, resta (dovrebbe restare) l’unico riferimento non effimero sul quale incentrare una nuova pianificazione dello sviluppo - a cominciare da una credibile politica industriale a partire dall’ambito regionale - a valere sui fondi Ue (almeno su quelli nuovi). Si assiste ad un effetto-domino: ogni istituzione va per conto suo nel perseguire un disegno, un progetto, un’idea (dal più piccolo al più grande e complesso intervento), incurante della fondamentale opera di confronto per giungere alla costruzione del consenso diffuso che, poi, evita ostruzionismi (burocratici e non) ed opposizioni spesso destinate ad avere seguito nelle aule della giustizia.
    In questo contesto l’annuncite è diventata un’epidemia molto difficile da prevenire e curare, così come la deriva mediatica dei vari “racconti” ad uso e consumo di un’opinione pubblica sempre più disincantata e distante dal momento partecipativo (vedi le elezioni regionali più recenti).
    Eppure, non bisogna cedere al pessimismo. Al contrario. Proprio nei momenti di crisi più profonda è necessario fare quadrato e puntare sulla positività di alcuni importanti fenomeni. Quali? La capacità di resistenza manifestata dalle imprese che si sono “inventate” in poco tempo export oriented; il coraggio di tanti giovani e di tante donne che si sono “collocati” o “ricollocati” sul mercato del lavoro diventando imprenditori di se stessi; la qualità delle innovazioni che le start up campane stanno portando in giro per l’Italia e per il mondo. Sono solo alcuni esempi per riaffermare l’urgenza di un ritorno sulla terra di politica ed istituzioni al fianco dei cittadini e delle imprese. In questo caso, non è mai troppo tardi.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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