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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Sempre più evidente la scarsa consapevolezza dell’urgenza di tutelare il valore primario delle comunità localiIl territorio? Solo e abbandonato L’allarme sul dissesto idrogeologico conferma il grave ritardo nel prendere coscienza che ogni strategia di crescita passa attraverso la manutenzione attiva e virtuosa delle risorse ambientali del Mezzogiorno.

    La scarsa consapevolezza del valore del territorio inteso come bene collettivo sul quale “rifondare” il patto fiduciario tra cittadini ed Istituzioni (ad ogni livello) affiora in maniera inquietante in questi giorni nei quali intere regioni d’Italia vengono devastate dall’insistenza delle piogge autunnali. Non si tratta qui di entrare “solo” nel merito – senza dubbio sostanziale – della problematica del rischio idrogeologico (ed anche sismico per completare il quadro delle gravi criticità di cui si stenta a prendere atto): è sotto gli occhi di tutti il quadro catastrofico che emerge dalle varie mappature da tempo disponibili e ben note agli addetti ai lavori. Occorre fare un passo indietro, invece, per allargare lo sguardo ed avere davanti uno scenario disarmante che è la diretta conseguenza di come per decenni politica ed istituzioni hanno affrontato il tema della tutela e della “manutenzione” del tesoro più importante (sotto vari punti di vista, non ultimo quello della sua potenziale redditività per cittadini ed imprese) che abbiamo a disposizione.
    Il territorio resta a tutti gli effetti il principale riferimento in grado di determinare la qualità della vita delle persone residenti e le opportunità di crescita delle comunità locali. Partiamo dal primo punto: la qualità della vita. Un territorio non abbandonato a se stesso difficilmente provoca alluvioni ed inondazioni in maniera “ciclica”: le varie forme di incentivazioni (non solo economiche) al mantenimento di standard adeguati alla reale esigenza di evitare la desertificazione del paesaggio agro-collinare o di montagna in altre regioni sono da tempo realtà ormai ridotte a banali passaggi amministrativi. Ma anche senza andare a sfiorare pratiche gestionali toppo lungimiranti per le nostre terre del Sud, come non puntare l’indice sulle disastrose condizioni in cui versano – nella stragrande maggioranza – i letti di torrenti e fiumi o, nelle aree a maggiore tasso di urbanizzazione, le reti fognarie e di depurazione? Basta chiedere agli agricoltori salernitani per comprendere come alla prima acqua dopo l’estate si ritrovino allagati e, nello stesso tempo, costretti a fare da soli per ripristinare la minima agibilità nelle coltivazioni che provano a portare avanti in piena solitudine.
    E’ di inaudita gravità il problema della mancata messa in sicurezza di ampie zone di territorio dove insistono scuole, ospedali ed altri edifici considerati “sensibili”: in questo caso siamo di fronte a casi di irresponsabilità bella e buona che impunemente si perpetuano nel tempo, diventando addirittura – vera e propria beffa – anche materia di campagne elettorali.
    Ma l’ampiezza della questione merita ancora qualche ulteriore considerazione. In una provincia che si trova da decenni in stallo recessivo dal punto di vista della capacità produttiva, su quale fattore si può puntare per tentare di costruire un futuro migliore per tutti quelli che si ostinano (più per necessità che per virtù, in verità) a rimanere, scegliendo di non eduardianamente fuggire? Davvero ha ancora senso attendere chissà quale mano salvifica dall’alto? Il discorso deve diventare, quindi, per forza di cose “locale”, ma con lo sguardo largo, aperto agli insegnamenti derivanti dai modelli di crescita realizzati in altre zone d’Italia e d’Europa. Quali principalmente? Soprattutto quelli che hanno posto al centro di ogni investimento pubblico (che, inevitabilmente, ha saputo stimolare anche l’impiego di risorse private) la salvaguardia degli equilibri ambientali e la promozione di processi di attrattività degli insediamenti produttivi sulla base della più complessiva capacità competitiva. Per entrare più nel dettaglio: un territorio ambientalmente protetto e tutelato incentiva il turismo di qualità; un territorio dotato di una rete infrastrutturale moderna ed integrata attira imprese in fase espansiva; un territorio curato e ben vigilato, dotato di servizi efficienti in termini di raccolta e smaltimento dei rifiuti (per esempio) garantisce un tasso di benessere e di sicurezza (anche sanitaria) molto alto ai residenti ed ai visitatori in soggiorno. Regole di elementare buon senso e di “normale” capacità amministrativa sono alla base del raggiungimento di questi obiettivi. E’ evidente che siamo molto distanti da questa “visione” del bene principale che appartiene alle nostre comunità. Un bene che continua ad essere, invece, teatro di speculazioni e di lotte per l’arricchimento (molto spesso di tipo criminale) ai danni dei legittimi proprietari: tutti noi.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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