Glocal di Ernesto Pappalardo
Le strategie per contrastare i processi di desertificazione industriale nel MezzogiornoCredit crunch? Rating di filiera La sperimentazione attivata dai big player in provincia di Varese per tutelare i piccoli fornitori e consentire la continuità produttiva dal punto di vista qualitativo di importanti marchi internazionali.
L’onda lunga della crisi continua a disegnare scenari economici (e sociali) particolarmente complessi e difficili per il Mezzogiorno ed, in particolare in Campania. Un’occhiata ai dati Svimez resi noti martedì scorso fa scorrere un brivido di inquietudine lungo la schiena. Ma – è chiaro – che bisogna sapere guardare avanti. La consapevolezza di un dualismo sempre più marcato tra Nord e Sud del Paese deve “obbligatoriamente” fare il paio con l’urgenza di trovare risposte efficaci. La sfida è smuovere le acque della palude e dare ossigeno a quella parte di sistema produttivo che, nonostante tutto, riesce a rimanere con i motori accesi.
L’atteggiamento del Governo Renzi verso i sistemi economici locali presenti nelle regioni meridionali è molto “pratico”: dovete fare da soli (parola più, parola meno), il Sud è parte di un problema più generale e bla bla bla. In estrema sintesi, sta andando a finire che chi non è capace di nuotare nella tempesta affoga subito (vedi alla drammatica voce fallimenti). Un modo di fare che lascia molto perplessi e che trancia di netto ogni residua forma di dialogo con quelli che pure restano interlocutori non “secondari”: tutti quei soggetti - i “famosi” corpi intermedi - che in ogni caso restano la cinghia di trasmissione più diretta con i territori.
Al di la, però, del “dibattito” in corso sui modelli di riferimento in base ai quali tentare di percorrere vie d’uscita dalla crisi (strutturale e non più ciclica), come non perde occasione di spiegare il presidente della Bce, non resta che “ingegnarsi” per non fare morire anche quello che c’è ancora e funziona discretamente bene. Prendiamo per esempio le filiere produttive dell’agroalimentare o dellortofrutta o – per non essere ripetitivi – le micro/filiere sperimentali nel manifatturiero di qualità. Anche in questi ambiti, ormai meta/distrettuali, il credito è da tempo una vera e propria emergenza. Nel senso che la stretta delle banche si fa sentire soprattutto nei confronti dei piccoli e piccolissimi (che sono, poi, la stragrande maggioranza) componenti della filiera virtuosa. A conferma che occorre insistere nella logica delle “reti” e delle interrelazioni tra i vari “pezzi” che formano gli agglomerati produttivi più dinamici e competitivi, in provincia di Varese, su iniziativa dell’Unione degli Industriali, si è giunti ad applicare questo tipo di approccio al credito, lanciando il cosiddetto rating di filiera. In pratica i “campioni” locali - imprese (export oriented e indirizzate in percorsi innovativi) che hanno un notevole impatto sull’indotto di riferimento – “prestano” il proprio rating ai fornitori che risultano strategici all’interno del loro ciclo produttivo. A queste aziende il Banco Popolare – senza costi accessori per i “campioni” – riconosce condizioni di vantaggio, ponendole sullo stesso piano (dal punto di vista del merito del credito) dei “campioni”. In questo modo – è evidente – che spunteranno un rating migliore rispetto a quello generalmente riconosciuto alle aziende sub/fornitrici.
I modelli di riferimento di questa tipologia di valutazione dell’affidabilità bancaria delle piccole imprese sono Renzo Rosso e Gucci, tra i primi big player settoriali a rendersi conto che per garantirsi continuità qualitativa – all’interno della propria filiera produttiva – è indispensabile tutelare tutti i passaggi alla base della riconoscibilità internazionale del proprio marchio.
Interessante il profilo tecnico dell’operazione (come spiega Luca Orlando sul Sole 24 Ore del 28 ottobre). Per il rating di filiera il Banco Popolare ha stanziato un plafond di 10 milioni di euro. Il tetto massimo per ogni singola operazione ammonta a 300mila euro. I finanziamenti contemplano il ricorso allo smobilizzo del credito commerciale; all’anticipazione di cassa; al sostegno chirografario per gli investimenti. Prevista anche la formula del “pro-saluto” per lo smobilizzo del portafoglio commerciale, meccanismo che alleggerisce l'impresa che presenta lo sconto da ogni rischio per mancato pagamento della fattura.
Se si considera che nel Mezzogiorno non si è ancora riusciti a valorizzare al meglio la logica del distretto e della filiera sotto l’aspetto meramente produttivo/commerciale, constatare che in altre parti d’Italia siamo al rating di filiera (e non più alla semplice filosofia della filiera), ci rendiamo conto che il divario descritto per l’ennesima volta dalla Svimez è davvero difficilmente colmabile. Ma ciò non toglie che la direttrice di marcia è del tutto evidente: senza aggregazione di imprese e senza visione d’insieme dei processi produttivi siamo destinati a rimanere per molto tempo ancora una periferia d’Europa.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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