Glocal di Ernesto Pappalardo
La solitudine dei “virtuosi”
In un territorio dove le imprese vengono definite virtuose soltanto perché rispettano le regole è evidente che esistono una serie di fenomeni che inquinano in vario modo le dinamiche economiche e finanziarie. Basta questa considerazione per rendersi conto che chiunque oggi si trovi a svolgere il “mestiere” di imprenditore deve confrontarsi prima di tutto con la concorrenza sleale (per usare un eufemismo). Il primo problema, cioè, deriva da una situazione estremamente ambigua, dove la competizione si svolge su diversi piani. E’ come un videogioco virtuale: abbattuti i primi mostri – quelli legali: il credit crunch; le diseconomie derivanti dai “costi aggiuntivi” della fiscalità regionale (comprese le famigerate accise sui carburanti) e locale che utilizzano le addizionali a tutta forza – si palesano subito quelli più “robusti” e difficili da affrontare: il sommerso; il “nero” invisibile; il “contiguo” che poi, talvolta, in maniera eclatante si palesa con tanto di “alleanze” e patti di protezione addirittura, con pezzi dello Stato, così come si evince anche da cronache recenti. Insomma, è evidente che la battaglia per incassare il dovuto dalle Pubbliche Amministrazioni - il presidente degli industriali salernitani Maccauro ha perfettamente ragione: le imprese da queste parti possono morire non solo di debiti, ma paradossalmente anche di crediti - è un tassello fondamentale, ma, purtroppo, in compagnia delle tante altre tessere che compongono la grande fetta di torta che le varie tipologie di “malaffare” ingurgitano alle spalle degli imprenditori e dei cittadini onesti che pagano le tasse. Perché all’appello mancano sempre cifre abnormi sottratte a tutti noi attraverso l’elusione e l’evasione fiscale. Se questo è il contesto di riferimento – nel quale “giustamente” proliferano usura, riciclaggio, “lavaggi” e “contro-lavaggi” di denaro sporco – è molto importante lavorare non soltanto sulle black-list (che, però, non sempre possono includere tempestivamente i “cattivi” della situazione), ma anche e soprattutto sulle white-list. Insomma, la filosofia del “rating di legalità” introdotto dal Governo-Monti è senza dubbio quella più importante in termini di approccio culturale, di mentalità nuova che occorre imporre al più presto in maniera estensiva. Perché le white-list sono quelle che consentono ad Enti ed Istituzioni di lavorare e dare risposte con maggiore celerità e tranquillità, ma anche perché spronare la corsa alla trasparenza e alla legalità significa “alzare l’asticella” della competizione nella direzione di un livellamento verso il meglio e non verso la ricerca di furbizie più o meno legali. E’ un mutamento, in altre parole, che agisce in senso pratico ed operativo – chi rispetta le regole viene premiato – ma anche in termini di competitività complessiva del territorio che, finalmente, potrebbe vantare una freccia in più nell’arco sempre sbilenco dell’attrattività. Di capitali, prioritariamente, e di insediamenti produttivi. Le imprese eticamente orientate, d’altro canto, hanno un plus sociale che non ha prezzo: sono effettivamente un valore aggiunto per le comunità dove operano, in quanto sono motore di “principi” corretti, educativi in senso civico. Questo è, però, un discorso particolarmente difficile in territori dove l’impresa non sempre è percepita dagli stessi protagonisti come tramite di produzione di ricchezza “sociale”, ma eminentemente personale. Anche da questo punto di vista il ritardo di sviluppo viaggia su tassi a due cifre. Perché – e questa è una responsabilità trasversale: dalla politica, alle istituzioni, ai corpi intermedi, fino ai singoli cittadini – il concetto di “capitale sociale” come bene fondante dei percorsi di crescita collettiva si scontra con eredità storiche che fanno ancora la differenza tra il Nord ed il Sud dell’Europa. Europa che vista dalla Campania e da Salerno appare ancora molto lontana. D’altro canto, se per arrivare a farsi capaci - e sono ancora in pochi ad averlo compreso fino in fondo - che senza “rete” e senza “sindacato del territorio” non si va da nessuna parte, è stato necessario subire lo tsunami di una crisi finanziaria mai vista dalla seconda guerra mondiale ad oggi, è evidente che siamo rimasti davvero indietro. E quel che è peggio è che nessuno vuole intestarsi le cambiali di questo ritardo di sviluppo (anche culturale). ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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