Le buone pratiche amministrative delle Regioni del Centro/Nord per combattere la crisiInvestimenti, la "ricetta" toscana
Attrarre finanziamenti sui territori per provare ad uscire dal persistente stallo recessivo. La valorizzazione degli asset produttivi competitivi si conferma una priorità strategica
La crisi allunga i suoi tempi e continua a creare gravi problematiche alle imprese e, più complessivamente, ai sistemi produttivi locali. L’elenco delle criticità aumenta di giorno in giorno e si moltiplicano le analisi che spiegano come non sarà affatto facile venire a capo di una situazione a dir poco compromessa. Inutile indugiare su quali siano i provvedimenti da varare immediatamente: tagli alla spesa corrente; privatizzazioni; riforme strutturali della pubblica amministrazione; alleggerimento della pressione fiscale; ridisegno delle regole del mercato del lavoro (Jobs Act nel senso più completo ed equilibrato possibile); credito a imprese e famiglie eccetera eccetera . E’ una litania che, ormai, evidenzia solo la rappresentazione estetica del fallimento di tutti i Governi degli ultimi vent’anni (e rischia di diventare il “Vietnam” di quello presieduto da Renzi). Di fronte a questo quadro tipicamente italiano - in quanto le responsabilità vengono continuamente rimpallate da un attore protagonista all’altro del disastro/Italia - le uniche ricette innovative e creative per fare qualcosa di concreto in tempi compatibili con l’età media di una generazione arrivano – come sempre – dai territori. Quelli virtuosi, naturalmente. Quelli che possono vantare una macchina pubblica efficiente ed un tessuto sociale e produttivo ancora reattivo, non provato e depresso da stagioni e stagioni di inettitudine burocratico/amministrativa (per essere buoni e non infierire) e di esercizio implacabile da parte della politica e dei partiti del potere di intermediazione nella distribuzione dei finanziamenti. Prendiamo, per esempio, il progetto della Regione Toscana di realizzare un polo di eccellenza - tipo Silicon Valley - dedicato al settore dei farmaci. Il nome prescelto per l’iniziativa è già un perfetto “racconto” mediatico in grado di attivare un accattivante percorso di marketing territoriale: “Pharma Valley”. L’idea di fondo è di valorizzare una vocazione produttiva già ben presente in Toscana dove è insediato un gruppo di imprese farmaceutiche che attiva un volume d’affari di circa 6 miliardi di euro ed offre occupazione a 12mila persone. Ma in Toscana non si accontentano di questa già invidiabile situazione e pensano di attrarre altri importanti big player mondiali del comparto. Insomma, si punta alla creazione di un mega/distretto capace di competere a livello globale. In altre parole il tentativo è di mettere a sistema le varie eccellenze che gravitano – in Toscana – intorno all’industria farmaceutica: poli universitari, istituti di specializzazione, incubatori dedicati alla sperimentazione clinica, una piattaforma per finanziare la parte organizzativa della ricerca ed altro ancora. Ma – ed è questa la vera best practice del progetto – è già stata prevista la fase di confronto tra aziende ed istituzioni per individuare gli incentivi da adottare per stimolare gli investimenti. Se non è politica industriale dal basso questa, scusate di che cosa stiamo parlando? E colpisce che queste sperimentazioni propulsive avvengano in aree del Paese che ricadono in fasce produttive e di reddito molto più alte rispetto alle regioni meridionali. Colpisce, cioè, che pure dove si potrebbe avere un atteggiamento più “conservativo” si lavora, invece, a soluzioni alternative, con un solo obiettivo: aumentare l’appeal dei territori per incanalare nuovi investimenti stranieri in disegni di crescita effettivamente capaci di generare nuova ricchezza (e nuovi posti di lavoro).
Accade qualcosa di minimamente paragonabile a questo progetto nel nostro Mezzogiorno? Eppure di asset vincenti ne abbiamo da valorizzare. Anche in questo caso stilare l’elenco sarebbe ripetitivo e fastidioso. Ma, almeno, citiamo due esempi su tutti: il distretto delle conserve di Nocera/Gragnano ed il grande giacimento abbandonato a se stesso dell’ortofrutta della Piana del Sele. Sarebbe così “creativo” provare a mettere in rete ricerca, tecnologia, innovazione, produzione di qualità, concentrazione distributiva e marketing attraverso marchi di territorio? Evidentemente conviene a tutte le parti in campo rimanere con le mani libere e camminare da soli. Fino a quando, per sopravvivere, diventeremo parte integrante di un grande progetto (magari proveniente da altri distretti concorrenti) che non ci appartiene.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it