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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • L'analisi del presidente del Censis Giuseppe De RitaNella crisi è guerra tra poveri

    Il drammatico ritardo delle classi dirigenti meridionali che sono assenti ai tavoli dove si decidono le strategie per il futuro. Si corre il rischio di assistere passivamente alla verticalizzazione delle decisioni.

    L’intervista al presidente del Censis Giuseppe De Rita pubblicata su questo numero della newsletter di salernoeconomy.it amplia significativamente lo scenario delle riflessioni dedicate in queste mesi ai gravi riflessi della crisi nel Mezzogiorno. Colpisce del ragionamento di De Rita il richiamo all’urgenza di mettere in campo interventi strutturali per arginare la crescita delle disuguaglianze sociali, l’ampliamento della forbice reddituale, la divaricazione degli interessi. De Rita indica proprio nella ricomposizione di queste distanze socio/economiche la vera “missione” che dovranno caricarsi sulle spalle le classi dirigenti del Sud in maniera trasversale, non solo la politica e le istituzioni, ma anche tutte le altre parti in campo: imprenditori, lavoratori, sindacati, società (un tempo) definita civile. Perché il rischio è che di fronte alla verticalizzazione delle decisioni il Sud – come del resto sta già ampiamente accadendo – sia completamente escluso dall’avere voce in capitolo sui tavoli dove si prendono le decisioni che contano. In buona sostanza – dice De Rita – se alcuni corpi intermedi (che nelle regioni meridionali non hanno mai brillato, per la verità) sono diventati per così dire “flaccidi”, è anche bene metterli da parte. Ma, nello stesso tempo, occorre individuare cin chiarezza le leadership capaci di confrontarsi con il “verticalismo decisionale” e di inserire i territori di cui sono espressione nei macro/disegni che si vanno delineando a livello europeo (prim’ancora che in ambito nazionale). Prendiamo il caso delle politiche industriali (non in senso settoriale, ma dal punto di vista delle “aree” di intervento). Internazionalizzazione, digitalizzazione e banda larga, reti e mercati energetici: sono riferimenti di primo piano destinati ad incrociarsi prima di tutto con le esigenze delle grandi e medie imprese dislocate prioritariamente al Nord. Se il Sud non si inserisce in questi discorsi proponendo specifici interventi taylor made – ritagliati, cioè, su misura delle esigenze delle proprie micro e piccole imprese – è facile prevederne l’esclusione da qualsivoglia dinamica positiva che, pure, prima o poi dovrà derivare da una così massiccia dote finanziaria che l’Unione Europea intende rendere disponibile. Va aggiunto – per rimanere in tema Ue – che la grande partita dei flussi di denaro che la Bce si appresta ad immettere nei circuiti bancari andrà attentamente monitorata soprattutto nel Mezzogiorno dove la domanda di nuovo credito resta ancora bassa. Se le banche non si faranno capaci che la ristrutturazione del debito per le piccole imprese è in questo momento la prima emergenza – e che soltanto in una seconda fase potranno essere programmati eventuali nuovi investimenti – anche su questo versante gli effetti auspicati da Mario Draghi saranno molto contenuti proprio nelle aree europee (come il Sud d’Italia) che più hanno bisogno di ossigeno in termini di liquidità a costi accettabili. Il rischio - che si è già trasformato tristemente in realtà in tante città del Meridione – che De Rita palesa è l’emergere di nuovi “Masaniello”: un’epopea nella quale si sono “tuffati” anima e corpo non soltanto esponenti della politica, puntando, ovviamente, alla costruzione di percorsi di leadership personale con i risultati – in termini di sviluppo ed occupazione – che sono sotto gli occhi di tutti e che non hanno bisogno di alcun commento superfluo. 
    Insomma, il quadro che emerge non è rassicurante da vari punti di vista. La storica propensione alla “deresponsabilizzazione” delle comunità del Sud rispetto ai processi storico/economici in atto resta sullo sfondo, collocata nella logica miope del breve periodo assecondata dalla politica fine a stessa. Lo spettacolo dei prossimi mesi – relativamente alla scadenza delle regionali – sembra, purtroppo, andare in questa direzione. Ma è giusto segnalare anche i fermenti positivi che in modo frammentario ed isolato si colgono in Campania ed in provincia di Salerno. Provengono dal mondo produttivo, dall’universo delle aziende e di parti significative della loro rappresentanza. D’altro canto, le nuove classi dirigenti – ha sottolineato De Rita – nascono sempre nel momento del conflitto. L’auspicio è che la logica del cambiamento virtuoso non continui a soggiacere al meccanismo della tutela delle rendite di posizione. Anche perché tra qualche tempo (non lontano) probabilmente le rendite e le “posizioni” non avranno più tanto terreno fertile su cui prosperare. 
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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