C’è grande confusione sotto il cielo della politica campana. Soprattutto – nella “migliore” tradizione – in casa Pd. Che la campagna elettorale per le regionali del prossimo anno sia già iniziata da tempo è, ormai, una non-notizia. Da diversi mesi si assiste al tradizionale teatrino delle contrapposizioni territoriali che ruotano intorno alle contraddizioni di un partito che in Campania, fin dai tempi del Pci, ha sempre stentato nell’esprimere una classe dirigente di livello regionale, nel senso “geografico” del termine (se così si può dire). In altre parole si sono sempre coagulati nuclei di “correnti” incentrati su personalità ben immerse in un localismo che si è, poi, andato sfilacciando – nelle stagioni del lento ed inesorabile declino della politica e dei partiti – in un vero e proprio neofeudalesimo municipalista. Con tutto quello che ne è conseguito dal punto di vista della balcanizzazione del consenso e dell’emersione di micro/leaderismi che hanno attraversato (e cavalcato) la stagione dei sindaci in molti casi senza alcuna visione strategica dello sviluppo.
Storia ben nota questa, che, però, sopravvive nell’epoca del renzismo che – almeno a livello di percezione – non sembra avere imboccato una strada chiara e decisa per rimuovere barriere e confini sempre molto presenti nel suo partito. D’altro canto non pare proprio che la Campania figuri tra le priorità del presidente del Consiglio/segretario del Pd che – a ragione – la individua, forse, più come una “rogna”, che come un terreno fertile dove insistere nel processo di cambiamento che, senza dubbio, ha messo in campo in questi mesi trascorsi al vertice del partito.
Come dargli torto? Solo per orientarsi tra ex potentati, califfati, stati-satellite e geografie di un Pd che quasi sempre non ha più alcun tipo di capacità di rappresentanza effettiva delle problematiche delle comunità alle quali dice di riferirsi, occorrerebbe l’esperienza di un esploratore che ha marciato per anni nelle foreste tropicali. Basti pensare a che cosa è successo dopo la vittoria di “Matteo”. A parte qualche posizione frutto di un percorso politico logico (ma vetusto), adesso in Campania, nel Pd sono tutti renziani. Non si capisce bene di quale ordine e grado (della prima ora, della seconda o delle terza, vai a capire), ma sono tutti al fianco di “Matteo”. Una vera “complicazione” per Renzi che si ritrova a che fare con un arcipelago complesso, variegato, pericoloso: le ultime primarie, per dire, sono andate a finire molto male. Come si fa a riproporle con il rischio di “sporcare” di nuovo l’immagine così attentamente ricostruita da “Matteo” a livello nazionale (ed internazionale) in questi mesi di grande lavoro mediatico? Ed ecco che scatta, allora, la caccia al Messi (sì, il fuoriclasse argentino che, pure, non ha brillato al mondiale in Brasile) di casa nostra. Il “fuoriclasse” che mette d’accordo tutti. Al punto che non ci sarebbe bisogno dello “scontro” in famiglia. Magari aspirando a riproporre il modello/Piemonte con Chiamparino incoronato dal consenso generale e vincitore nelle urne dopo il disastro leghista.
Sarà, ma sembra uno scenario difficilmente compatibile con la vecchia “tradizione” delle “guerriglie” territoriali che continuano ad imperversare senza neanche più una qualche cautela, nonostante il nuovo corso vigente al Nazareno. Che cosa bolle realmente in pentola nel Pd rispetto alle regionali in Campania è molto probabilmente oscuro, in questo momento, agli stessi nuovi sacerdoti del “giglio” magico. Il fatto certo è che sarà molto difficile trovare il famoso punto di equilibrio capace di archiviare conflitti “bellici” interni che durano da decenni e che hanno attraversato seraficamente le trasformazioni partitiche: dai tempi del Pci ad oggi non è cambiato nulla tra i vecchi compagni che non hanno mai compreso a fondo che è sbagliato pensare alla regione Campania (come espressione geografica e come Istituzione) in termini di somma algebrica dei rapporti di forza tra le cinque province. No, questo “scatto” culturale non c’è ancora stato. Tanto che si ragiona ancora analizzando la provenienza territoriale del candidato/presidente: altro che visione ampia, altro che sguardo largo.
E, allora, toccherà sorbirci una lungo tormentone fino a quando Renzi – per stanchezza o per disperazione, o per tutte e due le cose insieme – dovrà prendere una decisione. Magari come ha fatto la notte prima dell’ufficializzazione delle liste per le elezioni europee, quando rottamò il sindaco di Bari Michele Emiliano e promosse Pina Picierno. Chissà, forse non scoprirà un nuovo Leo Messi, ma – caro Renzi – se lei ha veramente in mente una soluzione del genere, non potrebbe risparmiarci un anno circa di questo spettacolo così noioso e triste che il Pd campano si appresta per l’ennesima volta a propinarci? Non potrebbe indicare subito, anche domani mattina, il candidato (o la candidata) che è nei suoi pensieri e chiudere subito la partita? Tanto in Campania, come lei sa, sono tutti renziani e nessuno si offenderà. O non è proprio esattamente così?