La doppia narrazione della realtà, la rappresentazione della politica e quella dei numeriLa crisi economica? Due linguaggi e due “misure”
Mentre imperversa a livello nazionale la “narrazione” del cambiamento politico/istituzionale (che, con tutte le complesse problematiche del caso, sembra andare, fortunatamente, avanti) nelle aree periferiche come la Campania e la provincia di Salerno siamo costretti a sorbirci il solito teatrino che viene messo su ormai da decenni. La “battaglia” per le elezioni regionali del prossimo anno è in pieno svolgimento. Protagonisti, gregari, aspiranti gregari, comparse e quant’altro sono reperibili sul mercato mediatico, ben consapevoli che basta poco per “bucare” il cancello delle redazioni. Una dichiarazione, un comunicato stampa, un commento al commento: insomma, porte aperte allo “show” che ci accompagnerà fino alla prossima primavera in un crescendo di insulti, promesse (con netta prevalenza di quelle false), dibattiti, accuse, repliche, contro/accuse etc etc. E’ uno scenario davvero triste quello che ci attende, soprattutto perché diventa difficile capacitarsi che, mentre continuiamo a ballare sull’abisso di un ciclo economico che rimane preoccupante - da queste parti la “fragile” ripresa individuata da Draghi è ancora, come minimo, un vero e proprio stallo recessivo - quello che resta dei partiti e delle leadership che essi esprimono non si pongono minimamente il problema di non perdere assolutamente tempo. Di non perdere, cioè, un altro annetto – più o meno – senza fare assolutamente niente in grado di incidere realmente sul tessuto strutturale del sistema economico e produttivo dei territori della Campania.
Si annunciano provvedimenti, spese, investimenti, ma non si percepisce in maniera chiara e concreta (almeno così dicono e scrivono molti autorevoli analisti e commentatori con i quali non si può non essere d’accordo) quale sia il disegno organico e non estemporaneo di sviluppo; quale sia l’idea di rilancio degli asset produttivi che pure stanno provando a sopravvivere contro tutto e contro tutti. Lo stridente contrasto con i numeri delle fonti più disparate (Ocse, Istat, Svimez, Unioncamere, Confcommercio, solo per citarne alcune delle più rilevanti ed autorevoli) e le dichiarazioni dei politici è un aspetto francamente surreale. Perché conferma l’elevato tasso di demagogia che permane nella tipologia di info/comunicazione che viene messa quotidianamente in campo nei palazzi del potere e quasi sempre recepita senza alcuna valutazione critica e di merito. E’ un andazzo che genera confusione su confusione. Alla fine sorge il dubbio che esistano due mondi diversi: la verità delle famiglie e delle imprese che toccano con mano la recessione, la crisi dei consumi, la contrazione dei redditi e la perdita del potere di acquisto; la “verità” della politica e delle istituzioni che vive principalmente di annunci anche quando usa il passato prossimo. “Abbiamo attivato”; “Abbiamo speso”; “Abbiamo reso disponibile”; “Abbiamo finanziato”. Ma di che cosa parlano? Se volessimo ragionare con una logica aziendale, dovremmo ricorrere al licenziamento immediato del top management, perché i numeri sono impietosi sul piano delle realizzazioni e dei risultati perseguiti, per non parlare della saggia regola costi/benefici. Il bilancio è ampiamente a segno negativo. Eppure, occorre riconoscere con serenità che non tutte le colpe sono della politica e delle istituzioni. A cominciare dalla Regione Campania che si è trovata a gestire una situazione finanziaria complessa e difficile non solo nel segmento della sanità. Di fatto, però, proprio a causa della nebulosità del meccanismo info/comunicativo le responsabilità si frantumano in mille rivoli perché la mostruosità della macchina burocratico/amministrativa è costruita apposta per evitare l’accertamento diretto e preciso degli “imbuti” che bloccano tutto. Non è, quindi, solo colpa delle istituzioni e dei partiti. Bisogna ammettere che siamo di fronte ad uno sgretolamento generale: si ha la sensazione che avanzi a pieno ritmo l’etica del “tutti contro tutti”; le trincee degli interessi particolari hanno conquistato posizioni su posizioni; è palese la perdita del senso di responsabilità sociale. Alla fine è diventata prevalente la tutela delle singole rendite (anche e soprattutto personali). E non è solo una lotta per le “seggiole” – che, pure, è un classico del peggiore poltronismo di provincia – ma una gretta chiusura localisticamente improduttiva.
Nel segno del nuovo (non del nuovismo) sarebbe auspicabile, invece, una bella ventata di aria fresca, con un solo obiettivo per tutti quelli che un tempo si chiamavano attori locali dello sviluppo: mettere in campo un modello di relazioni istituzionali/industriali/politiche capace di arrestare l’emorragia di imprese e di posti di lavoro attraverso accordi fortemente incentivanti non solo per tutti quelli che stanno resistendo, ma anche per quanti hanno capitali e voglia di investire in territori competitivi/attrattivi (è questo il vero punto di arrivo di una seria politica industriale di livello regionale). E’ l’unica strada. Ma, intanto, il pensiero “unico” corrente chiama tutti alla “guerra” per la conquista di Palazzo Santa Lucia. Per l’economia, l’occupazione, i redditi ed i consumi delle famiglie se ne riparlerà un’altra volta (se ci sarà ancora tempo).
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it