L’analisi della Confcommercio conferma l’aumento del divario tra Nord/Centro e SudL’export? “Vendiamo” bene l’offerta turistica
La tesi è molto lucida e fondata. In tempi di Sud che non riesce proprio a ripartire – e i dati di tutte le fonti possibili ed immaginabili lo confermano in maniera devastante – vuoi vedere che la cosiddetta internazionalizzazione delle produzioni si deve trasformare prima di tutto nel rafforzamento della capacità di attrarre turisti? Vuoi vedere, cioè, che occorre andare a “vendere” meglio all’estero i nostri giacimenti ambientali, paesaggistici e culturali? Insomma, mentre il manifatturiero, l’industria in senso stretto, fa fatica a trovare il passo giusto per riposizionarsi, è davvero giunto il momento – come sempre nel Mezzogiorno per necessità, più che per virtù – di provare a fare in concreto tutto quello che fino ad oggi si è solo, purtroppo, declamato in fiumi di parole quasi sempre inutili. Se si leggono i numeri dell’analisi dell’Ufficio Studi della Confcommercio (“Il divario Nord-Sud”, presentata a Bari lo scorso 13 giugno) appare ben chiaro il quadro della situazione. “Tra il 1998 ed il 2012 - è scritto - la quota di presenze straniere assorbita dalle regioni del Sud ha mostrato una lieve flessione passando dal 13,8% al 13,2%. Il Nord-Est si conferma, nonostante la sua quota sia scesa dal 46,6% al 44,3%, l’area preferita dagli stranieri”. Il divario è tale che si commenta da solo. Perché siamo di fronte a questo scenario? Prima di tutto perché “il capitale artistico-culturale, ambientale ed eno-gastronomico del Sud - sottolinea la Confcommercio - è gravemente sottoutilizzato”. E perché “bisognerebbe potenziare - rimarca ancora la Confcommercio - la filiera del settore turistico e dell’accoglienza adottando, in senso positivo, quelle logiche che sono tipiche dell’efficienza industriale, così da realizzare anche nel comparto del turismo quei vantaggi comparati, in termini di maggiore produttività, che consentirebbero a questo segmento di trasformarsi in un autentico motore di sviluppo”. Ed è ancora più grave la “storicizzazione” del ritardo delle regioni meridionali nella costruzione di un modello attrattivo adeguato alle enormi “ricchezze” che possiedono.
E’ un dato di fatto che assume ancora maggiore rilevanza quando le cifre del divario tra Nord/Centro e Sud delineano davvero due Italie, due mondi diversi che hanno iniziato da tempo a scrivere percorsi sociali e produttivi molto distanti. Se parliamo del Pil pro capite - per esempio - quello del Sud “era pari - evidenzia sempre l’analisi della Confcommercio - al 57% di quello del Nord-Ovest nel 2007: nel 2013 scende al 55,2% e nel 2015 sarà sotto il 55%”. Se si presuppone una crescita del Pil regionale costante all’1% per tutti i territori, “occorreranno undici anni e mezzo al Pil medio dell’Italia per raggiungere i livelli del 2007”. Ma “nel Mezzogiorno questo tempo si dilata fino a 13,5 anni dovendo, cioè, aspettare il 2027 per ritornare ai livelli pre-crisi”. Se passiamo alle dinamiche della spesa delle famiglie, “il rapporto tra consumi pro capite del Mezzogiorno e del Nord-Ovest scende dal 70% del 1995 al 64,9% del 2015, praticamente la stessa proporzione del 2013”. E “nel 2015, i consumi pro capite del Sud risulteranno ancora al di sotto dei livelli non solo del 2007 ma addirittura del 1995”. E per tornare ai consumi pro capite del 2007, “nel Mezzogiorno bisognerà aspettare oltre 14 anni”.
Da qui la valutazione pienamente condivisibile di Confcommercio: “Occorre puntare su altro, cioè su quella vocazione naturale all’export del Mezzogiorno che si chiama turismo”. Anche perché se il modello di offerta turistica concepito in Veneto (che è la regione dove si localizza la più elevata concentrazione di presenze straniere) funziona, non è più giustificabile che in tante aree del Sud non si riesca a mettere a frutto un potenziale di grandi attrattori unico al mondo. Ma, intanto, non si intravedono a breve termine segnali di un significativo cambio di approccio. Le responsabilità si perdono nei mille labirinti della frammentazione delle competenze, della polemica politico/istituzionale, negli sterili localismi improduttivi. Il fatto è che ancora una volta siamo alle prese con il consueto gioco del cerino acceso: tutti attenti a non scottarsi, mentre il numero delle famiglie meridionali inserite stabilmente nelle fasce della povertà aumenta a dispetto delle tante opportunità che - se per una volta colte in maniera sistemica e non improvvisata od effimera - potrebbero offrire una via di uscita stabile in termini di posti di lavoro e, quindi, di Pil pro capite, oltre che di reddito per le imprese.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it