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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Le “bacchette” magiche

    In tempi come questi - basta dare uno sguardo al calo dei consumi (benzina compresa) per rendersi conto che la cinghia, ormai, si sta addirittura strappando - si guarda sempre con “attenzione” a proposte e “ricette” miracolistiche o taumaturgiche per risolvere i problemi. In particolare, questo tipo di atteggiamento, per la verità molto radicato nelle aree a cosiddetto ritardo di sviluppo, si applica principalmente all’ambito economico, produttivo. Piace, insomma, inventarsi di tutto per “costruire posti di lavoro”; piace lanciare parole d’ordine di vario genere per indicare “nuove frontiere” rigeneratrici. Piace, insomma, indossare i panni dell’alchimista che inventa formule e formulette quasi sempre ad uso e consumo di business ed interessi più privati che pubblici. E, invece, nell’intervista rilasciata a “Imprese&Mercati” (pubblicata ieri su questo giornale) l’economista Marcello D’Amato, che pure di modelli di sviluppo ne ha studiati un bel po’, ci ha richiamato tutti ad un concetto più semplice: ma perché, prima di imbarcarci in nuovi e grandi avventure, non proviamo a fare funzionare l’ordinarietà? Perché non proviamo, cioè, a rimettere ordine? I Comuni facciano i Comuni; le Province le Province; le Regioni le Regioni, le banche le banche; le Asl le Asl; e via discorrendo. Insomma, ritorniamo ai fondamentali: se ogni pezzo del territorio funziona bene, è tutto il territorio che diventa attrattivo. Se ciascuno fa la propria parte, tutti insieme conferiamo valore aggiunto vero alle nostre comunità. Ma applicare questo principio non è semplice come sembra. Fare rientrare la politica nel proprio ruolo; le istituzioni nelle proprie competenze; larghissima parte dei privati nella mentalità che non è dal pubblico che bisogna ottenere tutti i vantaggi d’impresa; la famosa e ormai sempre più sfuggente “società civile” nei ranghi dei diritti e dei doveri (non solo dei diritti, come lunga coda di un ’68 infinito) non è affatto una cosa da poco. Al punto che la “missione” sociale delle tante componenti nelle quali si articola un territorio è estremamente confusa e, purtroppo, deleteria sotto il profilo dei benefici per quanti popolano continuativamente questa provincia. Allora, dice il professore D’Amato, proviamo a fare anche un’altra cosa. Proviamo, cioè, a prendere in mano i vari progetti sui quali si è concentrata una massiccia dose di investimenti pubblici: se hanno funzionato – o potrebbero in qualche modo ancora funzionare – va bene, andiamo avanti. Ma se, invece, continuano a drenare soldi dei cittadini senza alcun ritorno, togliamoli di mezzo, archiviamoli. E accertiamoci - ci permettiamo di aggiungere - delle responsabilità. In modo da capire bene chi è ancora credibile su questo territorio e chi no. Perché nella cristallizzazione di fatti, cose e persone, sembra quasi che nessuno abbia mai sbagliato niente. Eppure i numeri sono impietosi. I numeri, non le opinioni. Il divario con altre piattaforme territoriali è enorme. Il “prezzo” da pagare per fare impresa è veramente troppo superiore ad altre aree del Paese. Dal costo del denaro all’inefficienza infrastrutturale, per non parlare del carico fiscale che si appesantisce in maniera insostenibile con le famigerate accise regionali. Insomma, a forza di “bacchette” magiche e di promesse elettorali non siamo riusciti a dare un seguito nemmeno alle cosiddette “vocazioni” produttive. E anche su questo punto è bene fare chiarezza: i vantaggi competitivi di un territorio sono insiti nella sua conformazione geografica e nella capacità di articolare produzioni “esclusive”, non replicabili (facilmente) altrove. Non è un caso, per esempio, che ci siano un distretto dell’agro-alimentare o una strutturazione della ricettività turistica molto capillare. Ma anche in questi due ambiti di eccellenza le “vocazioni” hanno dovuto fare da sole: nessuno ha messo a sistema le opportunità. Anzi, non mancano disattenzioni e ritardi. Accantonate, quindi, le “bacchette” magiche, i pifferai della politica e quant’altro ci è stato riservato, forse è il momento di ritornare tutti a fare il proprio mestiere. In fondo, dovrebbe essere la cosa più semplice. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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