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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Decisionismo verticale e rappresentanza delle aree residuali
    La nuova Europa si costruisce partendo dalle “periferie” del Sud

    Il turno elettorale per scegliere la delegazione di parlamentari che siederanno a Bruxelles nei prossimi cinque anni si è intrecciato – ed in alcuni importanti comuni della provincia di Salerno continuerà per qualche altro giorno ancora ad intrecciarsi – con la “selezione” di sindaci che dovranno, invece, governare i territori. E’ curioso notare che non c’è stato nessun punto di contatto (o quasi) tra il linguaggio degli euro/candidati e quello dei primi cittadini/consiglieri comunali. Eppure, senza una visione realmente europea dei problemi e delle scie positive da inseguire attraverso l’utilizzo (effettivo e non virtuale) dei fondi Ue non sarà possibile assistere a nessuna metamorfosi diffusa nel segno della crescita del Mezzogiorno. Due lingue diverse - quelle dell’europarlamento e dei Comuni medio/piccoli (ma anche più grandi) - che configurano la rappresentazione geometrica della distanza che intercorre tra quella che è a tutti gli effetti una vera e propria “eurocrazia” e la domanda che proviene (o dovrebbe provenire) dal basso. Nello spazio che separa queste due linee rette dovrebbero inserirsi gli eletti al Parlamento Europeo che, per la verità, si vedono molto spesso, a volte anche invasivamente, nel mesetto che precede l’appuntamento con le urne e, poi, come meteore scompaiono per i successivi cinque anni nel cielo di Bruxelles. L’esatto contrario di quello che, invece, dovrebbe accadere per costruire prima di tutto una coscienza condivisa delle problematiche dei sistemi di sviluppo locale nelle varie regioni d’Europa. La sensazione è che, invece, i cordoni della borsa Ue siano praticamente in mano ad una casta di tecnocrati molto potenti e molto solidali tra di loro. Né la rappresentanza parlamentare - che è stata eletta in una guerra di preferenze blindate, di sistemi e di “accoppiate” vincenti che richiamano alla mente i modelli “matematici” che si “elaborano” nelle sale scommesse – pare mostrare (ma sarebbe bello essere smentiti) una conoscenza non superficiale dei complessi meccanismi che regolano l’attuazione dei programmi di sviluppo collegati all’utilizzo dei fondi strutturali. Insomma, non si ha la percezione che la pattuglia dei parlamentari che siederà sui dorati scranni del Parlamento Ue sia qualitativamente migliore di quella che l’ha preceduta (fatte le dovute eccezioni, naturalmente). Il vero tema dei prossimi mesi/anni sarà l’effettiva valenza rappresentativa dei neoparlamentari e la loro capacità di dialogare con i territori dei quali, in ogni caso, sono democratica espressione. Un rapporto più diretto, più funzionale all’elaborazione di un percorso di crescita sostenuto da comunità omogenee dal punto di vista della strutturazione produttiva o sotto il profilo delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali - solo per fare qualche riferimento specifico – è il presupposto ineludibile per costruire progettualità realmente in grado di incidere in maniera sostanziale sulla parabola di crescita del Mezzogiorno. La dinamicizzazione della soggettività politico/istituzionale di tipo orizzontale è una delle directory determinanti per mitigare il processo di verticalizzazione delle decisioni che di fatto sta ulteriormente marginalizzando i territori più deboli e privi di una rappresentanza in grado di farsi ascoltare in maniera autorevole sui tavoli che contano nel momento delle scelte. La rinnovata affermazione di un decisionismo “veloce”, che - in nome di un efficientamento del sistema amministrativo senza dubbio indispensabile - rischia di “sparare” nel mucchio e di nuocere anche a quei rari esempi di virtuosismo produttivo che insistono nel Mezzogiorno, dove si impone una riorganizzazione delle “forme” di aggregazione della rappresentanza. Occorre, cioè, mettere da parte i teoremi della politica fagocitante figlia di un’altra stagione - quella politica che ha vissuto e proliferato attraverso la pratica dell’intermediazione clientelare fine a se stessa - per innalzare la soglia dell’attrattività territoriale, partendo dal dialogo permanente ed operativo tra tutti gli attori della crescita socio/economica.
    Difficile essere ottimisti da questo punto di vista. Il quadro che emerge dalle elezioni europee porta a credere che il verticismo leaderistico dei partiti si appresta a vivere una stagione di rinnovato protagonismo. Né la politica nella dimensione locale offre segnali di risveglio civico reale e non semplicemente mediatico. La partita si vince o si perde sui campi di periferia. E’ dalle periferie politiche, istituzionali e della rappresentanza del Sud che può partire la sfida di esperimenti concreti: la costruzione di modelli funzionanti, capaci di rendere un territorio competitivo sulla base di accordi di partenariato pubblico/privato. Territori che da soli – senza l’intermediazione politica – individuano e perseguono la realizzazione di un proprio percorso di crescita, ritagliato sui punti di forza e consapevole dei punti di debolezza. In altre aree d’Italia questa scommessa ha già dato ottimi frutti, trattenendo aziende importanti e salvando tanti posti di lavoro.
    Alternative realistiche non sembrano essercene. Chissà se ne accorgeranno anche i neoeletti parlamentari europei del nostro Sud.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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