Glocal di Ernesto Pappalardo
Contro la desertificazione industriale tavoli di partenariato pubblico-privato
Le “task force” territoriali? Al Centro/Nord
Tutte le analisi degli scenari economici confermano per il Mezzogiorno una situazione di grave difficoltà nella ricerca di una via d’uscita da una condizione di effettivo e diffuso disagio sociale derivante dalla contrazione dei livelli occupazionali e dalle conseguenze di un vero e proprio disastro politico/amministrativo. Non si tratta certamente di una novità. Né gli accadimenti degli ultimi mesi segnalano concreti fenomeni di inversione di tendenza. Al contrario, appare, addirittura, enfatizzato il quadro di un contesto socio/produttivo sostanzialmente incapace di esprimere strutturalmente ed organicamente un disegno di rinascita collettiva. Troppe frammentazioni da un lato (i famosi “blocchi” sociali di una volta sono in disfacimento); troppe inadeguatezze nel fare “sintesi” da parte di chi, pure, ricopre ruoli di responsabilità istituzionale, dall’altro. In mezzo quelli che un tempo erano considerati interlocutori di primaria importanza, i cosiddetti corpi intermedi, appunto. Anch’essi alle prese con un cambio d’identità complesso, che – se ritardato o mal gestito – potrebbe, per molti versi, rivelarsi semplicemente auto/distruttivo in termini di effettiva capacità di rappresentanza e di interlocuzione con le basi di riferimento.
Il cortocircuito in atto, quindi, ha portato – con una decisa accelerazione negli anni della grande crisi – ad una confusione generale: di ruoli, di competenze, di protagonismi, di narrazioni mediatiche. Ma, soprattutto, ha generato un deficit di visioni condivise, promuovendo, invece, particolarismi, localismi, municipalismi, leaderismi ad uso e consumo del circuito dell’info/comunicazione. Sul terreno restano le macerie che, prima o poi, dovranno essere rimosse per calare i pilastri di una nuova politica industriale. Solo dopo sarà credibilmente possibile mettere in campo un progetto di medio/lungo periodo - non ritagliato sulle scadenze elettorali - in grado di assecondare l’inderogabile esigenza di partenariato pubblico/privato con l’obiettivo di gestire (e provare a tamponare) i processi di deindustrializzazione che avanzano senza sosta in Campania, in provincia di Salerno e nell’intera area meridionale.
E’, però, in questo difficile momento che occorre fare di tutto per mettere in sicurezza la struttura portante di ogni economia solida e competitiva negli anni del glocalismo accelerato: la spina dorsale del manifatturiero innovativo e di qualità. Solo intorno a questo asset centrale per la creazione di ricchezza occupazionale e reddituale diffusa potranno aggregarsi altre filiere produttive e di servizi. Ma ogni modello di crescita individuato – per passare dal mondo delle idee alla realtà del quotidiano – paga il costo di una conflittualità politico/istituzionale inconcepibile, soprattutto quando la nave sta già imbarcando acqua da più di una falla. La sensazione - anche in questo primo scorcio del 2014 - è che stia aumentando la distanza tra territori che hanno iniziato a dare risposte dal basso, in autonomia, con una forte consapevolezza della propria identità produttiva e con una responsabile capacità di individuare il punto di equilibrio tra le diverse esigenze in campo; e territori che, invece, stentano a mettere a fuoco un percorso chiaro, armonico, basato sulle grandi priorità necessarie alla “ripartenza”. Il giochino delle colpe e dello scarica/barile può andare bene nelle campagne elettorali, ma al punto in cui siamo non è utile, se non per conferire ulteriore linfa vitale alla parte più demagogica ed improduttiva della politica.
Mentre altrove – in regioni meno disastrate della nostra – nascono e si moltiplicano vere e proprie task force territoriali che aggregano tutte le soggettività che a vario titolo interloquiscono con il sistema economico e produttivo (Veneto, Emilia Romagna, Toscana e perfino la locomotiva/Lombardia), qui da noi assistiamo ancora a preannunci ed annunci di mirabolanti progetti o interventi risolutivi.
I numeri parlano da soli. Le analisi, gli studi, i report di vario genere e provenienza - e, quindi, non di parte - stanno a spiegarci che, nonostante anche apprezzabili sforzi, la grande risorsa finanziaria dei fondi Ue non è stata utilizzata come si poteva e si doveva fare; che la litigiosità all’interno della prima filiera (istituzionale) che dovrebbe dare prova di efficienza e responsabilità è troppo alta per produrre riflessi positivi nelle varie province della Campania; che fare impresa è sempre e comunque un esercizio difficile e complesso (per usare forti eufemismi).
Che cosa dovrà ancora accadere per voltare pagina? Dopo il deserto delle industrie e la fuga dei talenti; dopo la ripresa dell’emigrazione e l’impoverimento delle famiglie; dopo i record della disoccupazione ed i minimi del reddito pro capite, che cosa ci aspetta di vedere? Di task force territoriali a titolo gratuito per mettere nero su bianco – provincia per provincia - un elenco di progetti da cantierizzare in due mesi (perché già sono esecutivi) è così difficile parlarne?
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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