Territorio/L’asset vincente dell’economia campana è ancora troppo sottovalutatoAgroalimentare? La festa dura il tempo delle fiere
Ogni anno di questi tempi se ne celebrano demagogicamente le grandi potenzialità
Ma subito dopo imprese e lavoratori si ritrovano alle prese con gli antichi problemi
Ogni anno di questi tempi è consuetudine mediatica celebrare i fasti e le virtù taumaturgiche – per l’economia del Mezzogiorno e della Campania – del comparto agroalimentare. In coincidenza con gli eventi fieristici (si parte con il Vinitaly a Verona) inizia lo stucchevole percorso narrativo multicanale che conduce alla solita tesi “accademica”: ma perché il nostro vero tesoro, l’oro di famiglia più caro e prezioso che ci è così invidiato in tutto il mondo non viene valorizzato e promosso al meglio? Ma perché, invece di inseguire fantasiosi modelli di crescita in grado di ridare ossigeno all’economia e posti di lavoro ai giovani, non ci fermiamo un attimo a ragionare su tutte le cose che si potrebbero fare senza scomodare professori e scienziati in cerca di ricette miracolose?
Già, ma perché? Perché - come accade non di rado in terre dominate da cacicchi molto attenti ai propri orticelli elettorali - non conviene a nessuno (dei cacicchi ovviamente) allargare lo sguardo e costruire percorsi condivisi, abbandonando le logiche del “piccolo è bello” e buttando il cuore oltre l’ostacolo per fare il salto di scala che consentirebbe a tutti di cimentarsi ad armi pari sui mercati più importanti del mondo. Ma va anche detto che non è solo colpa dei cacicchi da Strapaese. Le responsabilità si addensano anche sul versante imprenditoriale, un mondo sempre attento a non mettere in discussione la logica del business delle singole aziende, sempre concentrato sul non cedere di un millimetro rispetto alla tutela delle identità aziendali, anche a costo di rimanere compressi in dinamiche di crescita assolutamente insufficienti. E c’è, poi, anche una terza parte di responsabilità. Forse quella più rilevante in termini di visione strategica, quasi del tutto incapace di plasmare una vera e propria politica industriale di livello regionale che tenga conto principalmente dei gap accumulati dalla Campania e dal Mezzogiorno rispetto ai competitors del Centro/Nord e di altre aree d’Europa un tempo relegate alle nostre spalle. Se si tirano le somme, questi tre fattori (cacicchi, cultura imprenditoriale auto/referenziale, miopia politica ed istituzionale) si stanno rilevando esiziali per un asset fondamentale per tentare di riposizionare il Meridione al centro di trend virtuosi nella grande sfida con gli altri territori sia all’interno del Paese che all’estero.
E, allora, conviene a tutti celebrare (ed auto/celebrare) il “Made in Italy”, il “Made in Campania” nella stagione delle manifestazioni ad alto tasso di visibilità. Tanto, poi, saranno imprese e lavoratori a pagare i costi aggiuntivi derivanti dai terreni allagati dopo qualche pioggia appena più insistente, solo per citare uno dei problemi più ciclici ed incredibilmente mai risolti. Per non parlare della rete di infrastrutture che dovrebbe essere alla base di un sistema di logistica integrata che, naturalmente, non c’è. Oppure dell’insufficiente rete elettrica o delle connessioni con il web che in tanti casi restano un miraggio o sono una realtà a velocità ridotta.
Basterebbe, invece, dare uno sguardo ai numeri del comparto agroindustriale campano per convincersi che non c’è tempo da perdere. E’ proprio vero che è questo il tesoro di famiglia. Va non solo difeso da imitatori maldestri ed incredibilmente impuniti a livello internazionale, ma, soprattutto, salvato dalle solite inefficienze della macchina politico/partitico/amministrativa che ha rovinato il Sud. Nonostante tutto, le imprese agroindustriali campane – confermano autorevoli ricerche sul campo – hanno resistito meglio di altre al ciclo congiunturale negativo. Questo sistema produttivo (Srm, Studi sull'Economia del Mezzogiorno e del Mediterraneo, Gruppo Intesa Sanpaolo) “pesa” a livello nazionale per il 7% in termini quantitativi (23% su Mezzogiorno) e per il 6% dal punto di vista del fatturato (37% su Mezzogiorno). La Campania può mettere sul tavolo qualcosa come 387 prodotti agroalimentari tradizionali (8% del totale Italia), vantando il primo posto nel Mezzogiorno ed il secondo in Italia, alle spalle della sola Toscana (463). Su 44 distretti agroalimentari distribuiti in tutto il Paese ben 12 sono localizzati al Sud e tre in Campania: caffè e pasta napoletana; conserve di Nocera; mozzarella di bufala. Le vere filiere della qualità si trovano nella nostra regione: filiera delle conserve, filiera lattiero casearia, filiera della pasta, filiera dolciaria, filiera olivicola/olearia, filiera vinicola e filiera floricola. Può bastare per mettere mano finalmente ad un progetto sistemico di crescita dimensionale, di piena integrazione a livello commerciale e distributivo, di effettiva e permanente internazionalizzazione?
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it