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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Lo studio SRM/Il rilancio del Mezzogiorno essenziale per la ripresa dell’intero PaeseNord e  Sud più “interdipendenti” del previsto

    Per ogni investimento si genera una rilevante quota di produzione al Centro/Nord 
    Forti correlazioni economiche ed imprenditoriali, “sistema unitario dell’economia”

    L’economia del Mezzogiorno vista non solo in una logica di confronto statistico con le altre regioni d’Italia, ma soprattutto in termini di apporto delle regioni meridionali alla creazione di ricchezza e di produzione nazionale: questo il contenuto della ricerca “L’interdipendenza economica e produttiva tra il Mezzogiorno e il Nord Italia. Un Paese più unito di quanto sembri”, svolta da SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) in collaborazione con Prometeia, che ne ha elaborato i dati econometrici. All’interno della ricerca sono state approfondite le forti correlazioni economiche e imprenditoriali esistenti tra Nord e Sud Italia, valorizzando il concetto di sistema unitario dell’economia italiana e l’apporto, spesso sottostimato, che proviene dalle regioni meridionali.
    “Con questa ricerca – ha dichiarato il direttore generale SRM, Massimo De Andreis - si vuole offrire una riflessione sulla necessità di superare la visione solo dualistica del rapporto Nord-Sud a beneficio di una maggiore consapevolezza delle interdipendenze esistenti. Il Mezzogiorno “importa” risorse per il 30% dal Centro Nord che a sua volta ne “importa” per il 25% dal Mezzogiorno. Per ogni investimento nel Sud si attiva una rilevante quota di produzione al Centro Nord. Se a questo aggiungiamo che settori industriali importanti per il nostro Paese, come automotive, aeronautico e agroalimentare, hanno nel Mezzogiorno un peso in termini di fatturato, export e occupati molto rilevante per le rispettive filiere, si capisce pienamente che il rilancio dell’economia del Mezzogiorno è una condizione essenziale per la ripresa dell’intero Paese”.
    Vari i punti chiave evidenziati dalla ricerca di SRM.
    L’interdipendenza Centro Nord – Sud. 
    Innanzitutto è emersa la grande dipendenza – in termini di scambi di beni e servizi – tra Centro Nord e Sud Italia per soddisfare le proprie esigenze produttive: “Il Mezzogiorno – sottolinea la ricerca - “importa” risorse per il 30,3% delle sue esigenze dal Centro Nord (il 6,6% dall’estero. La produzione interna è pari al 59,1%, il restante 4% sono imposte nette) mentre il Centro Nord “importa” risorse per il 25,1% delle sue esigenze dal Mezzogiorno (il 8,9% dall’estero. La Produzione interna è pari al 63,2%, le imposte nette sono il 2,8%)”.
    L’”effetto dispersione” degli investimenti effettuati nel Mezzogiorno.
    L’”effetto dispersione” che si verifica per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Mezzogiorno porta, a beneficio del Centro Nord, una cifra pari a 40,9 euro. Viceversa per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Centro Nord si verifica un effetto dispersione a beneficio del Mezzogiorno pari a 4,7 euro. 
    L’elevato “effetto dispersione” del Mezzogiorno, evidenzia la ricerca, se da un lato dimostra come il tessuto economico e produttivo del Mezzogiorno non sia pienamente in grado di internalizzare gli effetti degli investimenti, dall’altro ha una rilevante ricaduta positiva sul resto del Paese alimentandone la domanda.
    Considerando che l’effetto dispersione degli investimenti nel Mezzogiorno è pari a circa il 40%, (e dedotto l’effetto dispersione verso l’estero, pari a circa il 10%), per ogni 100 euro di investimenti nel Mezzogiorno si trattengono/attivano 50 euro di produzione, per cui appare evidente una capacità di creazione endogena di ricchezza da non sottovalutare.
    I comparti produttivi meridionali che “internalizzano” di più.
    Tra i vari settori, l’analisi ha individuato quelli nei quali esiste una capacità di trattenere maggiormente gli effetti degli investimenti: il comparto dell’energia gas acqua e costruzioni (76,8%), il comparto dell’agricoltura (52,6%) e quello della PA e dei servizi alle famiglie (51,5%).
    Anche all’interno del comparto manifatturiero vi sono filiere dove gli investimenti attivano una quota di produzione interna al Mezzogiorno molto significativa: l’Automotive (valore di quota attivata 45%), gli altri Autoveicoli (43% in cui è inclusa la filiera dell’Aerospazio) e Logistica e Trasporti (39%). Un minor effetto di attivazione si ha invece nell’Alimentare, ed ancor di più nel Tessile, comparti dove il Mezzogiorno continua ad essere “terzista”.
    Il “peso” delle filiere industriali del Mezzogiorno sul valore aggiunto nazionale. 
    Andando ad analizzare il “peso” che queste filiere industriali hanno nel Mezzogiorno in termini di valore aggiunto, fatturato ed occupazione rispetto al totale nazionale, la ricerca di SRM pone in rilievo i seguenti dati: 
    La filiera Aeronautica genera nel Mezzogiorno circa il 31,5% del valore aggiunto nazionale, e con circa 2,4 miliardi di euro di fatturato rappresenta un terzo della filiera italiana e occupa circa 13.000 addetti (40% del dato nazionale);
    La filiera Automotive, rappresenta il 25% del Pil settoriale nazionale, genera un fatturato valutabile in 13 miliardi di euro. Gli addetti nella filiera sono oltre 27.000;
    La filiera Agroalimentare nel Mezzogiorno ha un valore aggiunto di circa 16 miliardi di euro, pari al 30% del dato nazionale. Fattura 21 miliardi di euro. Occupa oltre 140 mila addetti;
    La filiera del Mare (dalla Logistica allo Shipping) nel Mezzogiorno ha un valore aggiunto di 13,9 miliardi di euro, pari ad oltre un terzo del dato nazionale con un peso sull’economia interna del 4,3% contro il 2,9% dell’Italia. Le imprese sono oltre 87.000 pesando il 41,42% sul dato nazionale. La movimentazione di teus è pari a circa il 50% dell’Italia che genera un fatturato di ben 3,5 mld. di euro. Gli addetti nella filiera sono oltre 300.000 con un peso del 5,4% sull’economia interna. 
    Il valore dell’Export meridionale.
    Il valore della componente di export - soprattutto nei settori delle “3A” e della Logistica e Trasporti – risulta molto significativa per tutto il Paese e contribuisce in modo rilevante al valore internazionale delle nostre produzioni. Tale peso dell’export nel Mezzogiorno di queste filiere sui relativi settori è in media pari a oltre il 20%, un valore circa doppio rispetto alla media del peso dell’export meridionale in Italia (circa l’11%). La filiera Aeronautica contribuisce al 31% circa dell’export del settore in Italia; la filiera del Mare rappresenta circa il 21% dell’export del settore a livello nazionale; la filiera Automotive contribuisce a circa il 17% dell’export nazionale; la filiera Agroalimentare rappresenta circa il 18% dell’export nazionale.
    Conclusioni. 
    Da quanto emerso dalla ricerca, appare chiaro come l’investimento nel Mezzogiorno produca un duplice effetto: crea sviluppo che resta nel Mezzogiorno e contribuisce allo sviluppo endogeno per almeno il 50% dell’investimento; sviluppa una rilevante ricaduta economica su tutto il territorio nazionale – anche al Centro Nord - con un effetto benefico sull’intero sistema produttivo nazionale.
    Tenendo presente che ammontano ad oltre 22 miliardi le risorse che arriveranno nel Mezzogiorno come riparto dei fondi europei, a cui si aggiungono altre disponibilità rilevanti (ad esempio i 29,3 miliardi del programma CEF - Connecting Europe Facility - rivolto a favorire la realizzazione delle grandi reti infrastrutturali di trasporto, telecomunicazioni ed energetiche), il Mezzogiorno può trasformare la propria cronica “debolezza” in un “punto di forza” se sarà capace di valorizzare il proprio ruolo e le proprie vocazioni geografiche e settoriali, sottolineando che la ripresa economica in Italia passa dal rilancio del Mezzogiorno.
    (Fonte: sr-m.it/18.03.14)


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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