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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La “strana” ripresa/L’improduttiva discussione sulla “scomparsa” del MezzogiornoSviluppo locale? Dialogo tra sordi aggravato dalla politica

    Mentre continua ancora a mancare liquidità alle imprese, la “sfida” tra territori
    si consuma tra le solite “guerriglie” locali per mantenere le rendite di posizione

    Ripresa debole, fragile, “volatile”. Difficoltà nel consolidare le nuove dinamiche positive; disallineamento territoriale che si traduce in disomogeneità dell’intensità della cosiddetta “ripartenza”. Tradotto in soldoni: vista da Sud la fine del tunnel è ancora abbastanza lontana. Con alcune persistenti “aggravanti”: la confusione politica del passaggio in atto a livello nazionale; le scadenze elettorali in vista in Campania (ancor prima di arrivare al 2015 “ci toccano” in sorte le europee e le amministrative di primavera). Insomma, mentre si discute e si filosofeggia di coesione, di recupero della centralizzazione della spesa, di “scomparsa” del Mezzogiorno e via discorrendo, diventa molto difficile assecondare la linea di pensiero che “tutto sommato il peggio è alle spalle”. Pesa come un macigno – per esempio – la perdurante difficoltà di accesso al credito delle imprese, senza scala di gradazioni in termini di grandezza. Le preannunciate azioni di sostegno alle Pmi sicuramente vanno segnalate come importanti (anzi, strategiche e fondamentali), ma - al momento - la “narrazione” degli imprenditori ascoltati dal vivo (senza il diaframma delle indagini e degli studi su carta) non indica svolte positive a breve. Anche perché è inevitabile che le ricadute meno negative (non, quindi, positive, se si procede al confronto con i numeri pre/crisi) avranno bisogno di un po’ di tempo per manifestarsi soprattutto sul terreno dei livelli occupazionali (altra piaga gravissima). 
    Resta preminente l’immissione di liquidità nel tessuto produttivo: liquidità necessaria per raggiungere due obiettivi. Il primo: consentire alle aziende che hanno fin qui resistito di gestire con meno problemi la nuova fase (meno negativa e si spera senza alti e bassi). Il secondo: dare più ampio respiro alle imprese in condizioni migliori (di quelle che hanno prioritariamente bisogno di ossigeno) che si rendono conto di dovere procedere ad investimenti strutturali (soprattutto per consolidare il proprio posizionamento sui mercati internazionali). 
    Naturalmente tutte le misure annunciate dal nuovo Governo sono una buona notizia, ma sarà determinante il fattore/tempo. L’intervallo tra la dichiarazione d’intenti ed il concreto trasferimento di liquidi farà la differenza. Nel frattempo alcuni indicatori (fonte Abi) - richiamati nel servizio di apertura della newsletter di salernoeconomy di questa settimana - inerenti lo stato di salute del circuito bancario inducono ragionevolmente a ritenere che la valutazione del rischio creditizio continuerà ad essere restrittiva. L’entità dei crediti deteriorati e l’attenzione agli equilibri di bilancio che le banche dovranno mostrare in base alle indicazioni della Bce, rafforzano la convinzione che il clima relazionale non sarà particolarmente espansivo. In questo quadro assumono un ruolo centrale i Consorzi di Garanzia e tutti gli strumenti già ampiamente attivabili in grado di attenuare il rischio in capo alle banche, Ma anche su questo terreno il Mezzogiorno è in netto ritardo. Un gap culturale, prim’ancora che operativo: è un problema di “orizzonti” gestionali da parte delle imprese in primo luogo, oltre che di frammentata (e spesso improduttiva) presenza di organismi che in altri contesti territoriali riescono a “smuovere” maggiormente le acque. 
    Inutile girarci intorno: la mancanza di una “rete” territoriale di attori coesi e determinati a porre in atto azioni di sistema, adeguate alla portata delle problematiche che vanno risolutamente affrontate, si rivela la più grave diseconomia in termini di competitività con le altre piattaforme produttive locali. In sintesi: a parità di condizioni di svantaggio diffuso nelle aree del Sud, ed in larga parte della Campania (provincia di Salerno inclusa), la scarsa capacità di dialogo/interazione tra i soggetti dello sviluppo locale emerge come “scoglio” quasi sempre insuperabile. E, intanto, le occasioni perdute continuano ad accumularsi (tra pochissimo tempo sarà la volta della nuova programmazione dei fondi europei).
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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