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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il territorio? Non ha “appeal”

    Si continua a parlare molto – giustamente, per la verità – della scarsa liquidità di famiglie e imprese. D’altro canto, la questione è “esistenziale”: senza soldi è davvero difficile immaginare di uscire dalla situazione nella quale siamo sprofondati. Ma, finalmente, si affaccia timidamente anche l’altro grande nodo da tempo immemore non sciolto: siamo sicuri che sia soltanto un problema di reperire risorse per procedere alla “realizzazione” di qualcosa? Il tema è “affascinante”. Anzi, negli anni ha prodotto una vasta e non sempre coerente letteratura da queste parti. Ma, al di là dell’aspetto “filosofico”, nasconde profonde verità. Che come tutte le verità urticano larga parte degli attori coinvolti. Perché la verità è che nessun investitore avveduto, allo stato attuale dei fatti, tra le tante aree geografiche d’Italia e dello stesso Mezzogiorno, potrebbe scegliere di venire a rischiare i suoi soldi proprio qui, in questa provincia. Naturalmente, stiamo parlando di un imprenditore vero, perbene, trasparente, animato da spirito costruttivo e non “rapace” (specie, questa, ben nota fin dalla stessa nascita dei finanziamenti a fondo più o meno perduto). Lo scenario reale ci consegna una situazione desolante: il territorio – che nel suo complesso stabilisce la qualità dello sviluppo potenziale – non ha alcun “appeal”, non è attrattivo. Al contrario: è respingente. Né, all’orizzonte – neanche sulla linea che unisce mare e cielo – si intravede qualcosa di simile ad un disegno, un progetto, un’idea. Un tempo si sarebbe chiamato “modello” di crescita. Oggi ci si potrebbe accontentare anche di un “modellino” con il quale provare a fare simulazioni di economie di scala. Eppure, non mancano fermenti positivi di cui bisogna prendere atto. Il presidente della Camera di Commercio Guido Arzano ieri, nell’intervista apparsa su questo giornale nella pagina “Imprese&Mercati” ha delineato uno scenario per molto versi interessante. Due iniziative, in particolare, appaiono estremamente interessanti. Ha parlato di una società di trasformazione urbana in embrione per mettere mano alla creazione di un distretto turistico – principalmente rivolto al segmento definito all’aria aperta – sul litorale a Sud di Salerno; ed ha fatto riferimento all’ipotesi di creare un’agenzia per l’attrazione degli investimenti. Si tratta di due iniziative che provano a fare i conti proprio con le questioni sopra accennate. La prima: darsi un progetto – che piaccia o meno – ma darsi un progetto chiaro e ben individuabile, con una precisa identità strutturale. La seconda: se i soldi pubblici sono finiti, è lampante che bisogna andare a cercare nuova linfa finanziaria sul mercato dei capitali. Come: costruendo le condizioni più appetibili per attirare investitori. E’ quello che da tempo accade in zone d’Italia e d’Europa francamente meno dotate – in termini di habitat naturale, ma anche di dinamismo imprenditoriale – della nostra provincia. In zone dove si è capito con intelligenza che l’”asset” da “vendere” sui mercati di tutto il mondo è proprio il territorio inteso come “contenitore” di buone pratiche amministrative (e qui non ci siamo proprio) e come piattaforma in grado di accogliere progetti industriali (sì, anche il turismo deve incanalarsi nel solco dell’approccio industriale) di qualità, con maniacale attenzione alle ricadute economiche sul sistema locale. Se da qualche mese parliamo con insistenza di “sindacato del territorio”, è perché manca – purtroppo – questa fondamentale variabile di fondo in provincia di Salerno: sui tavoli che decidono il destino di interi “pezzi” del Mezzogiorno e d’Europa il “progetto-Salerno” non c’è. E le rare volte che c’è naufraga in anacronistici scontri o liti da condominio: politica ed istituzioni guerreggiano tra di loro. O, quel che è peggio, si accapigliano per portare dalla propria parte (quale?) bottini clientelari che si disperdono in dissipazioni che gridano vendetta. E, allora, la strada giusta è quella che faticosamente diventa sempre più chiara anche da queste parti: se la politica e le istituzioni non ci sono in questa decisiva partita, tocca alle categorie, agli imprenditori, ai sindacati, alle associazioni di rappresentanza civile mettere sul tavolo delle decisioni – a Salerno, a Napoli, a Roma, a Bruxelles – progetti che camminano da soli con la vecchia regola dei costi e dei benefici. Nella frantumazione molecolare in cui versano, la politica e le istituzioni (che dalla politica sono controllate) dovranno fare buon viso a cattivo gioco ed accompagnare e sostenere il futuro di questa nostra comunità. Altre ricette non ce ne sono più. E il tempo è il fattore che si rivelerà determinante nel disegnare sul volto dei nostri figli la speranza di non continuare a riempire le valige per ottenere la dignità di un lavoro vero. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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