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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Flexsecurity/Il documento-proposta dell’Unione Industriali di Pordenone
    La “ricetta” friulana per recuperare la competitività perduta
    Senza più attendere il taglio effettivo del cuneo fiscale da parte del Governo
    si punta ad un ampio accordo di territorio per rilanciare l’apparato produttivo

    La notizia è importante. Perché conferma che la strada da intraprendere in questo 2014, che si preannuncia come l’anno di una timida ed incerta ripresa senza occupazione (soprattutto al Sud), parte dai singoli territori. Se c’era bisogno di ulteriori conferme, la novità che arriva da Pordenone è di grande rilevanza: siamo entrati definitivamente nella dimensione degli accordi competitivi “taylor made”. Ogni comunità economica e produttiva - in attesa che arrivi davvero l’onda lunga dei provvedimenti governativi in materia di taglio del cuneo fiscale (solo per citare l’intervento principale) – dovrà arrangiarsi e fare da sé. Il documento che l’Unione Industriali della città friulana ha messo a punto e che sarà oggetto di valutazione da parte dei sindacati, può rappresentare senza dubbio un punto di riferimento (non solo dal punto di vista della flexsecurity) per iniziare a “reinventare” veri e propri “pacchetti” di provvedimenti in grado di agevolare la quotidianità delle imprese locali e di attrarre nuovi investimenti.
    Naturalmente, ogni territorio ha storia e caratteristiche particolari, possiede, cioè, un’identità socio/economica specifica alla quale ispirarsi. A cominciare dalla dimensione media del tessuto delle imprese. A cominciare, inoltre, dagli asset di riferimento. Ma queste sono solo due tra le priorità che occorre tenere presenti. In realtà è il momento di agire – in maniera condivisa con le parti sindacali – sul costo del lavoro e sui percorsi di sostegno al reddito nel momento dell’uscita dal circuito occupazionale, mentre contemporaneamente si dovrà lavorare all’attivazione di itinerari formativi efficaci e sostanzialmente integrati con le potenzialità della domanda di mercato nei singoli agglomerati produttivi. Taglio del costo del lavoro e flessibilità in cambio della permanenza degli insediamenti produttivi che rischiano di chiudere o di trasferirsi in altre realtà più “convenienti” sotto il profilo dei vantaggi competitivi integrati. La riduzione dei salari si coniuga, in questo progetto, con una serie di compensazioni nell’ambito del welfare aziendale che nel Mezzogiorno è ancora per larga parte quasi all’anno zero.
    E’ significativo riflettere sulla metodologia adottata che punta senza tentennamenti a rendere partecipi i lavoratori dei piani gestionali dell’impresa, immaginando “patti” di collaborazione tra sindacati ed aziende. Insomma, il profilo del rinnovamento che supera antiche ed insostenibili contrapposizioni è ormai delineato e - ritagliando su misura l’abito adatto ad ogni singola realtà territoriale – appare evidente che la strada da seguire è proprio questa: mettere in campo modelli operativi per combattere la desertificazione industriale e, nello stesso tempo, rendere una specifica area produttiva più attraente rispetto ad un’altra.
    L’obiettivo finale è quello di realizzare i presupposti per la creazione di zone ad alto tasso di competitività industriale, lavorando ad un ampio ventaglio di opzioni favorevoli per le aziende: compressione dei costi, flessibilità, creazione e miglioramento delle competenze del personale, formazione, ricerca, infrastrutture e fiscalità di vantaggio. Sul piatto c’è principalmente la riduzione del costo del lavoro pari più o meno al 20% per le industrie di medie e grandi dimensioni ed al 10% per quelle più piccole. Una sorta di “manutenzione” dell’esistente in attesa della ripresa che al momento se c’è, ancora non si vede bene. Otto le parole/chiave individuate a Pordenone con l’ausilio di eminenti personalità del mondo dell’economia, del lavoro e delle imprese: produttività, innovazione, internazionalizzazione, crescita dimensionale, supporto alla nascita di nuove aziende, politiche attive del lavoro, stimolo alla domanda, supporto all'approvvigionamento di risorse finanziare.
    La “ricetta” studiata in Friuli  per combattere il dramma della crisi e del declino - che messi insieme stanno distruggendo l’industria meridionale -  fa arrivare anche al Sud un segnale strategicamente molto significativo. Sarebbe il caso di raccogliere l’indicazione e di provare a rimodularla in chiave realistica e pragmatica anche in Campania e nell’intero Mezzogiorno. Il tempo da perdere in dibattiti e convegni è finito.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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