Scenari 2014/Le analisi a consuntivo 2013 stroncano il quadro congiunturale del SudLa partita decisiva si gioca sulla capacità di spesaLotta contro il tempo, altrimenti abbiamo già perso
Se il 2013 è stato l’anno della “desertificazione industriale”, il 2014 rischia di diventare quello dell’”effetto trascinamento”. In altre parole: l’anno della “ripresa senza occupazione” (ammesso che si consolidi il percorso di uscita dalla recessione). Se è davvero eccessivo parlare di una vera e propria ripartenza (al punto che Confindustria precisa che sarebbe il caso di fare riferimento, invece, al termine “ricostruzione”), è anche il momento di prendere pienamente coscienza che non esistono alternative all’effettiva spesa dei fondi disponibili per il Mezzogiorno, sfatando una volta e per sempre il luogo comune che individua come problema centrale la mancanza di risorse. Non è così. I conti sono presto fatti: sul piatto della bilancia per il Sud ci sono qualcosa come 60 miliardi di euro. I primi 20 provengono dai fondi strutturali veri e propri; poi ce ne sono altri 10 circa rintracciabili nel Piano d’Azione e Coesione (Pac) ed altri 30 nel Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc). Senza tenere conto della nuova programmazione (2014/2020). E’ del tutto evidente, quindi, che il Sud è destinato a scontare prima di tutto l’onda lunga della scarsa efficienza della macchina amministrativa, oltre che – fattore ancora più grave ed ingiustificabile – la carenza di visione della filiera istituzionale (da un numero imprecisato di anni senza differenziazione alcuna tra le diverse gestioni politiche che si sono succedute) nell’elaborare ed attuare un adeguato disegno di sviluppo del territorio in sintonia con l’economia reale espressa dai vari comprensori produttivi.
E’ in questa fotografia che trovano spazio alcuni indicatori evidenziati nello studio periodico dedicato all’economia del Mezzogiorno da Confindustria-Srm pubblicato nei giorni scorsi. Se parliamo di occupazione – sottolineano gli analisti – è più che probabile che i posti di lavoro che saranno creati non saranno sufficienti a compensare quelli che sono andati persi nel corso della ristrutturazione del sistema produttivo generata dalla crisi. Se consideriamo il Pil del Sud, la cifra andata persa tra il 2007 ed il 2013 è semplicemente impressionante: circa 48 miliardi di euro. Se, poi, si scende nel dettaglio dell’indice sintetico riferito allo “stato di salute” dell’economia meridionale, si deve prendere atto che è ripreso a scendere nel 2012 e che nel 2013 risulta in ulteriore peggioramento.
E’ questo il contesto di riferimento nel quale collocare ogni iniziativa, ogni proposta, ogni “ricetta”, sapendo bene, però, che non sarà possibile cambiare la situazione in breve tempo. Occorre ragionare sul medio e lungo periodo, a dispetto della logica che ha fin qui predominato: non si possono stilare programmi (meglio definirli proclami o, purtroppo, “spot” ad uso e consumo del circuito mediatico) seri e fondati con il respiro corto, sintonizzato sulle varie campagne elettorali (reali o in “agguato” che esse siano). E’ indispensabile recuperare il senso delle cose. Al Mezzogiorno non servono “salvatori” della Patria o “eroi” nazional/popolari con una buona audience televisiva. E’ il momento, invece, di ritornare ad una più produttiva ed efficace stagione di buoni amministratori, educati al culto del senso di responsabilità (e della misura, di se stessi e delle cose di cui si parla). Non è una questione che riguarda solo la politica, naturalmente. Senza stare a scomodare le reiterate teorie sui processi selettivi inerenti la classe dirigente meridionale (che da sole alimentano trattazioni infinite), adesso è il momento di rimettersi tutti in gioco, senza fare troppi calcoli di convenienza o senza inseguire chissà quali leadership politico/territoriali. D’altro canto basterebbe riflettere su quella che, pure, dovrebbe essere un’ovvietà: si corre il rischio di diventare (ammesso che si risulti realmente vincenti) leader di qualcosa che non esiste più. O che - se continuerà ad esistere - avrà soltanto bisogno di una governance capace di gestire processi liquidatori, più che interventi di sviluppo. Cosa altro ancora dovrà accadere per convincere gli attori locali che bisogna fare da soli, unire le forze e, soprattutto, abbassare il livello di conflittualità con l’obiettivo di realizzare due/tre cose importanti, che devono risultare veramente strategiche per invertire la tendenza in atto? Perché non provare tutti insieme, per esempio, a non perdere per strada quote troppo ampie di fondi Ue ancora non spesi? Perché non concentrare ogni euro disponibile negli assottigliati e smagriti capitoli dei bilanci della più ampia filiera istituzionale ipotizzabile in provincia di Salerno per ampliare la pista dell’aeroporto di Pontecagnano e lanciare veramente la sfida di uno scalo appetibile per i voli di linea (anche commerciali)? Domande che non riceveranno risposte. Ma, a volte, nelle domande (volendo) si ritrovano tutte le risposte che affondano le radici in decenni di inconcludente “galleggiamento”, la principale causa del declino iniziato ben prima della grande crisi.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
Ps Auguri a tutti i lettori di salernoeconomy.it. Auguri di cuore agli amici “marziani” che ci seguono con affetto e stima (non più di dieci, naturalmente). Vuoi vedere che nel 2014 la piccola colonia di “marziani” salernitani diventerà un po’ più ampia? Anche un solo “marziano” in più sarebbe un grande successo. Auguroni!