Il Rapporto Censis/Politica ed Istituzioni in crisi d’identità ritardano la ripartenzaLa “connettività” per battere l’auto-referenzialità
Mentre si allarga il divario tra Nord (più europeo) e Sud (più greco) del Paese
stentano a prendere piede le buone pratiche di partenariato pubblico/privato
Il ragionamento è, per la verità, abbastanza vecchiotto. Ma, poiché non si vede all’orizzonte alcun cambiamento reale di rotta, tocca riproporlo. A dispetto di annunci e preannunci di chissà quale imminente inversione epocale, nei prossimi mesi nelle regioni meridionali non c’è da attendersi una vera e propria ripartenza del sistema produttivo. Il quadro economico regionale e provinciale segnala che la maggioranza degli indicatori oscillano verso un’area “meno negativa” del solito. La crisi, cioè, è ancora molto forte, ma ci sono accenni meno pessimistici. Tutto qua. La spiegazione anche in questo caso è più o meno semplice: una volta giunti al fondo del pozzo, coloro che sono ancora dell’idea di non sbaraccare e di restare in campo devono per forza di cose aprirsi a prospettive più propositive. Vero è che a livello di sistema-Italia ci sono indizi di un lieve miglioramento, ma nel Mezzogiorno le cose sono molto più complesse e difficili. Il divario con il Centro/Nord non è un’invenzione mediatica. Esiste sul serio e fa sentire i suoi effetti in termini di tenore di vita, ricchezza pro-capite, livelli occupazionali, reale potere di acquisto dei salari e via discorrendo. Ma nonostante tutto questo, non si è giunti, per fortuna, al collasso produttivo. Anche questo è un dato di fatto di cui va tenuto adeguatamente conto. L’inaffidabilità della politica e delle istituzioni, insomma, non è ancora riuscita a bloccare del tutto la capacità di provare a dare risposte dal basso. Con tutti i limiti ed le difficoltà del caso, la maggioranza del tessuto imprenditoriale sta provando in ogni modo a rimanere in piedi. Ma le risposte vere, quelle che servono, tardano ad arrivare. La liquidità è sempre un miraggio, le relazioni delle imprese con il circuito bancario si caratterizzano principalmente per la diversa interpretazione del credit crunch (stretta creditizia/abbattimento della domanda?), le Pubbliche Amministrazioni anche quando sono “virtuose” sono ingessate dal patto di stabilità, la macchina burocratica è da incubo, la pressione fiscale (nazionale e locale) è molto pesante.
E’ in questo contesto che si afferma maggiormente la necessità di fare da soli. Lo sguardo lucido del Censis (vedi altro servizio all’interno della newsletter di questa settimana) evidenzia proprio questo aspetto. Se da un lato la “connettività” è “il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo”, è anche vero che il percorso verso questa categoria comportamentale non può arrivare né dalla politica, né dalle istituzioni avvolte da una crisi d’identità senza precedenti. Al punto che “(…) se istituzioni e politica non sembrano in grado di valorizzarla - scrive il Censis - la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva”. Insomma, tirando le somme, la partita si giocherà territorio per territorio, agglomerato produttivo per agglomerato produttivo, distretto per distretto. Il Censis dice anche che si sono consolidati nuovi soggetti che possono sostenere i processi di sviluppo. “Si registra - spiega - una sempre più attiva responsabilità imprenditoriale femminile (nell'agroalimentare, nel turismo, nel terziario di relazione), l'iniziativa degli stranieri, la presa in carico di impulsi imprenditoriali da parte del territorio, la dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all'estero (sono più di un milione le famiglie che hanno almeno un proprio componente in tale condizione) e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea della globalizzazione”. Chiari anche i due ambiti nei quali potranno svilupparsi pezzi di futuro importanti dal punto di vista occupazionale ed imprenditoriale. “Il primo è il processo di radicale revisione del welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria» e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di categoria). Il secondo ambito è quello della economia digitale: dalle reti infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico, dalla elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla localizzazione geografica, dallo sviluppo degli strumenti digitali ai servizi innovativi di comunicazione, alla crescita massiccia di giovani «artigiani digitali»”.
Certo, a vedere come in Campania ed in provincia di Salerno è quasi del tutto assente una comune visione prospettica dei processi e dei modelli di sviluppo (al punto che si litiga anche su chi deve acquisire la “leadership” addirittura nella “denuncia” delle difficoltà e della crisi), diventa davvero difficile mettere a fuoco anche solo uno spiraglio di luce.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it