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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Si aprono “spiragli” di ripresa, ma gli indicatori confermano un quadro molto negativoOltre la crisi? Buio fitto sulle idee

    Ammesso che si consolidino le tracce di una potenziale ripartenza per la Campania e per il Mezzogiorno non si intravedono progetti strutturali di rilancio economico

    Da più parti si continuano ad evidenziare presumibili segnali di ripartenza del ciclo economico e produttivo. Si sottolineano cambi di “sentiment”, si punta molto sulla percezione delle problematiche e sulla valutazione delle prospettive da parte delle imprese. Certamente il quadro d’insieme, anche in settori molto gravemente colpiti dalla crisi come le costruzioni, è meno “nero” dei mesi scorsi. Anche perché - forse è il caso di ricordare - una volta toccato il fondo, bisogna per forza di cose iniziare a risalire. Potrebbe essere questa la chiave di lettura di alcune indicazioni emerse da recenti ed importanti analisi. Ma se, poi, andiamo a verificare i numeri, appare chiaro che il cammino da fare sarà lungo e complicato, denso di ostacoli molto difficili da superare soprattutto al Sud. Prendiamo, per esempio, il credito (vedi altro servizio in questo numero della newsletter di salernoeconomy.it). E’ fuori discussione che la stretta ci sia ancora e che fatichi ad essere allentata. Ma d’altro canto basta dare uno sguardo alle percentuali delle sofferenze e più complessivamente dei crediti “difficili” per rendersi conto di come la selettività delle banche abbia ragioni fondate, anche in considerazione delle scadenze che dovranno affrontare dal punto di vista della valutazione della solidità patrimoniale. Solo per parlare di una tra le loro molteplici “buone” motivazioni . Ma il problema non è, ovviamente, solo il credito. Nonostante sforzi encomiabili in alcune regioni, il ritardo nella spesa dei fondi strutturali è un dato di fatto. E non è solo un problema di quantità di finanziamenti immessi nel tessuto economico e produttivo. Ma, soprattutto, di qualità. In termini di miglioramento del tasso di competitività dei territori in che maniera inciderà la spesa effettivamente erogata? Bisogna, in questo caso, fare un passo indietro. Sulla base di quale logica o piano di sviluppo si è pensato di mettere in campo i progetti finanziabili con fondi Ue? Quando si parla di mancanza di una visione complessiva delle criticità e delle potenzialità delle diverse aree della Campania, come di tante altre regioni del Sud o del Nord, è un modo eufemistico per sottolineare che è davvero difficile rintracciare un’idea solida, ragionevole, valida, capace di migliorare realmente il processo di crescita socio/economica. Si è ragionato, e si ragiona in molti casi ancora, attraverso la lente deformante delle premialità da riservare ai comparti “trainanti” e non si valuta, invece, con attenzione la necessità inderogabile di intervenire sulle pre-condizioni di contesto da migliorare per tutte le eccellenze produttive, non solo per quelle ricadenti nel perimetro dei comparti più concorrenziali. E’ un modo di procedere che non agevola la sopravvivenza di tante aziende che, pure, sono riuscite ad innalzare i propri standard, confrontandosi con un ciclo recessivo devastante e rimanendo in piedi. E bisogna aggiungere, che, anche quando si è voluto prendere in considerazione gli “asset” produttivi più performanti, non si è riusciti ad attivare economie di scala, ricadute virtuose a cascata. Non sono state innescate, in altre parole, dinamiche di rete o di distretto effettivamente operative e concrete. E’ inevitabile, quindi, confrontarsi con un'altra tipologia di problema che la crisi ha soltanto enfatizzato e dilatato a dismisura. La carenza di una programmazione dal basso, condivisa con gli attori dei singoli territori, resta il vero limite di ogni intervento di politica industriale capace di incidere in aree che ben prima degli ultimi cinque anni non stavano affatto bene in salute. Se pure dovesse arrivare l’onda della ripresa vera e propria, da queste parti si corre, quindi, il serio rischio di non coglierne alcun riflesso positivo. Ma non pare proprio che di questa drammatica prospettiva siano in molti a preoccuparsene.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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