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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • L’eredità degli “orticelli”

    Le conferme arrivate in settimana rilanciano uno scenario a dir poco “difficile” per l’economia del Mezzogiorno. Nell’intervista apparsa ieri sulla pagina “Imprese & Mercati” de “La città” il direttore generale del Banco di Napoli, Giuseppe Castagna, ha spiegato con chiarezza che le banche si stanno confrontando con il “problema” di gestire una propria liquidità “limitata”: perché c’è l’esigenza di rispettare i parametri imposti a livello europeo sulla capitalizzazione degli istituti di credito (questione controversa, ma, intanto, fortemente penalizzante per gli utenti finali della filiera creditizia); perché la recessione di fatto fa venire meno gli equilibri tra raccolta ed impieghi (per non parlare delle partite in sofferenza); perché l’incertezza anche nel breve periodo rende tutti più prudenti nella valutazione del merito del credito. Ma anche perché non si utilizzano bene gli strumenti già disponibili e perché manca ancora una piena “alfabetizzazione” finanziaria – è il caso di aggiungere – di una larghissima parte del tessuto imprenditoriale meridionale (e non solo). E, allora, da che parte provare a ripartire? La ricetta suggerita a tutti i livelli è una sola e fa perno su una parolina magica. Occorre spingere sulla riattivazione dei percorsi di crescita. Come? Liberalizzazioni, si era detto. Rilancio degli investimenti al Sud, si era detto. In realtà, tutto pare scontrarsi con partite di giro, con manovre che muovono, cioè, gli stessi fondi, con interventi a saldo zero. Gli stessi fondi che assomigliamo sempre di più ai famosi cannoni sul fronte di italica memoria: sono sempre gli stessi, ma, in compenso, vengono spostati in continuazione per confondere le idee al “nemico”. In questo caso, i soliti, “lamentosi” meridionali che – dicono da Roma in su – hanno già avuto. Anzi, hanno avuto troppo. Senza fare “leghismo” di ritorno, è appena il caso di sottolineare che di soldi veri, nuovi, aggiuntivi - come occorrerebbe – per il Sud non se ne è parlato proprio, da svariati anni. E’ un dato aritmetico e non si vuole fare alcuna polemica fuori tempo massimo. Insomma, non si riesce, ad immettere linfa finanziaria nuova. Ma quel che è molto peggio è che manca l’elemento fondamentale, l’unico in grado di smuovere le montagne russe di un’economia in fase di asfissia: la fiducia. Anche chi potrebbe mettere mano alla tasca non lo fa: non vuole rischiare di trovarsi in mezzo ad una nuova bufera finanziaria come quella di qualche mese fa. Ne sanno qualcosa quanti, sul versante privato, si erano avviati a comprare casa: di colpo non hanno più avuto le stesse certezze sull’erogazione del mutuo o, quando a stento l’hanno ottenuto, si sono trovati a fare fronte a tassi ben diversi da quelli che all’inizio erano sembrati abbordabili. Se questo è il quadro “macro”, che cosa c’è da aspettarsi in una piccola provincia di una disastrata regione del Mezzogiorno d’Italia e d’Europa? Tutto si gioca sulla capacità dei singoli territori di provare a fare qualcosa da soli. E qui da noi, dove il concetto di capitale sociale non è praticamente declinabile, la partita è molto più difficile che altrove. Prendiamo ancora il caso del credito perché è quello che condiziona più di tutto il momento attuale di imprese e famiglie. La sensazione (certezza?) è che alle imprese toccherà fare da sole, come hanno ben compreso le rappresentanze categoriali che hanno preannunciato iniziative che appaiono intelligenti (e speriamo siano anche efficaci). Ben presente sull’argomento anche la Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana che sta organizzando un primo confronto tra le parti in campo. Distante, disattenta – senza eccezioni di schieramento – la politica: ammesso che esistano ancora i partiti, stanno perdendo l’ennesima occasione per dimostrare che sono collegati alla vita reale, al quotidiano delle persone in carne ed ossa. La stretta creditizia resta materia per convegni e dichiarazioni ai giornali. Ma non si intravede all’orizzonte neanche qualche intervento inserito in una visione complessiva del problema. Perché, per esempio, non mettere mano ad un accordo – a livello provinciale – che approfondisca i temi della moratoria e della ristrutturazione di alcune tipologie di debito, valutando con attenzione le specificità locali? Insomma, remare disperatamente dalla stessa parte è l’unica soluzione possibile. E’ lecito, però, dubitare che non venga né individuata, né sostenuta sul serio. A coltivare i piccoli orticelli si dimentica presto di pensare alle distese a perdita d’occhio. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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