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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il Sud e la crisi/Nuovi varchi di accesso al circuito occupazionaleLa grande sfida della generazione con la “valigia in mano” Gli “under 35” si rimboccano le maniche e provano a fare impresa
    Il Mezzogiorno “laboratorio” per costruire percorsi di cambiamento

    La verità dei numeri segnala che gli “under 35” - la generazione che è stata definita con la “valigia in mano” - in tutto il Mezzogiorno da tempo hanno deciso di provare fino in fondo a ricavarsi un proprio spazio autonomo nel circuito occupazionale. E’ un dato di fatto (vedi altro servizio sul report di Unioncamere) che conferma uno scenario al quale siamo già abituati: scarsi varchi di accesso al lavoro e, quindi, percorsi di auto-imprenditorialità, maggiore propensione al rischio. La situazione, però, si può leggere in due modi. Il primo: si giocano tutte le carte possibili - anche quando non si è troppo convinti - con l’obiettivo di non restare al palo. Il secondo: invece di stare a rivendicare e “piagnucolare” ci si rimbocca le maniche e si rinuncia ad itinerari già noti e più “protetti”. Probabilmente sono due linee di pensiero che si intrecciano sulla base di una drammatica esigenza esistenziale, prima ancora che occupazionale. La precarietà e la mancanza di una prospettiva di crescita personale è il tratto caratterizzante di una fascia d’età che osserva il mondo andare avanti con rabbia e disincanto. Da un lato – quelli più preparati, che conoscono le lingue e, magari, hanno anche un master alle spalle – scelgono, appunto, di prendere la valigia in mano e di tentare la carriera all’estero. Dall’altro, ritroviamo profili forse – ma non sempre – meno “competitivi” che provano a dare “battaglia” dove risiedono. Senza grandi mezzi – è questo il motivo della preponderanza delle ditte individuali – ed anche senza troppa cultura manageriale. L’importante, in questo caso, è giocare la partita e non rimanere sempre negli spogliatoi o sedere in panchina. Ecco perché occorre analizzare con grande rispetto la pioggia di numeri che descrive storie di ragazzi e ragazze che cercano in mille modi di darsi un orizzonte, di mettere a fuoco le coordinate possibili di una propria realizzazione professionale, oltre che di attivare fonti di reddito stabili e meno effimere. Il problema reale permane quello di creare condizioni strutturali ed ambientali diverse per rafforzare in maniera stabile una dinamica che è di per sé positiva. Perché configura il passaggio epocale – questo sì – dalla cultura del lavoro “garantito” alla consapevolezza che l’identità professionale, imprenditoriale, occupazionale dovrà diventare – ed è in parte già diventata – mutevole, non definita una volta per tutte. Il valore aggiunto, in altri termini, si sposta dal sapere iniziale a quello acquisibile. Dal patrimonio originario a quello potenziale. E nell’apprendimento di questa lezione fondamentale il Sud è più avanti. Dalle criticità stanno nascendo anche le opportunità. Ed in questo caso non è un luogo comune.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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