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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Credit crunch? E' il momento della "fantasia"

    Non che faccia piacere parlare più o meno sempre delle stesse cose. Ma per una serie di circostanze negative il tema della finanza innovativa per le piccole e medie imprese è, ormai, prepotentemente al centro della scena. Addirittura il ministro Saccomanni ha dovuto recuperare il concetto di “shadow banking” (sistema bancario ombra) per sottolineare che è arrivato il momento di pensare a qualcosa di nuovo, pur di riuscire ad immettere liquidità nel sistema economico e produttivo. L’obiettivo primario si configura nella rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni e nel supporto a nuove forme di intermediazione finanziaria come - ad esempio - i “credit fund”. Con questa terminologia si fa riferimento ad una categoria di fondi molto diffusi negli Stati Uniti, dove intermediano circa l'80% del credito alle imprese e alle famiglie. Fondi che “erogano credito trasformando scadenze, rischi, liquidità” spiegano gli esperti. Appare sempre più chiaro, quindi, che le stesse banche dovranno accompagnare le Pmi verso forme di finanziamento non bancario (private equity e venture capital), con l’obiettivo di favorire la nascita di nuove imprese. Magari di dimensioni più grandi, potenziando, in ogni caso, i processi innovativi di quelle già operative. Occorre considerare con attenzione le opportunità offerte dalla promozione delle cartolarizzazioni, “anche con un iniziale supporto regolamentare e governativo”, ha spiegato Saccomanni. In questo contesto diventerebbe centrale un sistema di garanzie che può incentivare gli investitori istituzionali a comprare obbligazioni basate su crediti bancari erogati alle piccole e medie imprese. Quali garanzie? Garanzie fornite dalla Cassa Depositi e Prestiti oppure garanzie mutualistiche rilasciate da consorzi. Ma bisogna allargare lo sguardo anche ad altri strumenti finanziari: mini-bond e crowdfunding. Il nodo da sciogliere è, comunque, legato all’appeal di queste operazioni verso i potenziali investitori. Ma, in verità, il percorso da fare in fretta è già scritto: il Governo dovrà cercare di ampliare gli strumenti per il finanziamento delle imprese rafforzando la deducibilità del nuovo capitale di rischio investito nell'azienda. Perché si è giunti alla valutazione del “perimetro operativo” del cosiddetto “shadow banking”? Basta dare uno sguardo agli ultimi dati forniti dall’Abi. Le sofferenze sono state pari a maggio a oltre 135,5 miliardi di euro, 2,5 miliardi in più rispetto ad aprile 2013 e 24,9 miliardi in più su maggio 2012. Non si è, naturalmente, arrestata la flessione dei prestiti a imprese e famiglie. Il totale degli impieghi delle banche italiane ai residenti, includendo quindi il settore privato e le pubbliche amministrazioni, è sceso in maggio a 1.893 miliardi di euro, segnando una variazione annua di -2,77%. Più consistente la contrazione dei prestiti a famiglie e imprese che, sempre a giugno, sono scesi a 1.451 miliardi (erano 1.455,2 un mese prima) in calo annuo del 3,13%. Non c’è molto da commentare. La stretta creditizia pare destinata, quindi, a non allentarsi soprattutto al Sud. E, allora, è il momento del cosiddetto “scatto di fantasia”. E’ indispensabile, cioè, di uscire dai confini della domanda di credito tradizionale. E’ urgente andare a “vendere” sui mercati internazionali gli “asset” vincenti, territorio per territorio: le imprese virtuose che sono il vero valore di un territorio. Siamo giunti al computo finale: le aziende devono mettersi in discussione, guardarsi dentro, ristrutturare – in non pochi casi se ne ravvisa davvero il bisogno – i bilanci per poi presentarsi – nelle varie forme possibili – a chiedere credito. Meglio sarebbe che lo facessero in un contesto di accordi inerenti “agglomerati industriali e produttivi”. E’ in questo senso che è bene ritornare sul concetto di finanza di territorio e di bond di distretto (solo per citare uno dei vari esempi che possono funzionare). Ma resta aperta anche la strada del partenariato pubblico-privato con fondi di sviluppo territoriale. Il ruolo delle associazioni di categoria sarà determinante non solo sul versante dell’assemblaggio dei “cluster” di imprese che si propongono per i finanziamenti, ma anche sul fronte dell’indicazione della destinazione strategica dei fondi da raccogliere. Possono sembrare riflessioni ed ipotesi “marziane” – così mi hanno confermato alcuni affezionati e pazienti lettori – ma sono le uniche sostenibili anche in una realtà piena di contraddizioni ed in perenne ritardo culturale come quella salernitana. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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