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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Finanza e Imprese binomio locale per lo sviluppo

    Il tema, finalmente, è diventato meno “ostico” anche al Sud. E’, ormai, chiaro, più o meno a tutti che l’inderogabile processo di riassestamento degli equilibri finanziari interni al circuito creditizio – avvitato nella spirale delle sofferenze e degli “incagli” in maniera preoccupante – non consentirà di riattivare in tempi compatibilmente brevi i necessari flussi di liquidità indispensabili alla “ripartenza” del ciclo economico nelle regioni meridionali. Alla fine dovranno farsene una ragione anche i territori più “rissosi” e sterilmente inconcludenti come quello salernitano. Non che le responsabilità siano identificabili soltanto nei profili istituzionali o bancari. Si tratta, però, di prendere atto pragmaticamente che – al momento – non si ravvisano (o non se ne ha adeguata percezione) strumenti di matrice locale alternativi (e realmente operativi) alla filiera bancaria ai quali ricorrere per finanziare le imprese. Tutto qui. Né si è intravisto – al di là di dichiarazioni di intenti certamente encomiabili – almeno un progetto che sia riuscito a venire fuori dalla fase embrionale. Di investitori in carne ed ossa non c’è traccia alcuna. Ma si sa, spesso è preferibile raccontarsi non quello che si è o quello che si fa, ma quello che si vorrebbe essere o si vorrebbe fare. L’economia provinciale, intanto, si aggrappa ai pochi “asset” produttivi che si stanno dimostrando capaci di reggere l’urto di una crisi devastante. Ma anche in questo caso va detto - come ha garbatamente evidenziato il presidente degli industriali Mauro Maccauro in una lettera inviata al ministro Zanonato - che non tutto quello che funziona al Sud (ed in provincia di Salerno) è riconducibile soltanto all’agroalimentare o ad altri settori strutturalmente importanti come – per esempio – il turismo. Maccauro ha invitato a mettere da parte visioni “stereotipate” del Mezzogiorno e a guardare alle imprese eccellenti a prescindere dal comparto di appartenenza. Analisi pienamente condivisibile. Esiste, quindi, un problema complessivo di innovazione delle fonti di finanziamento: non è più possibile pensare a piani, progetti, o azioni che mirano a specifici segmenti produttivi, sebbene importanti. Occorre identificare, invece, un “modello” innovativo e, soprattutto, funzionale non solo a sostenere i processi di crescita delle Pmi, ma anche in grado di attrarre investimenti (sia endogeni che esogeni). In altre parti d’Italia hanno pensato e messo in campo - solo per fare un esempio, - fondi strategici per lo sviluppo del territorio al fine di stimolare la competitività dell’imprenditoria locale e di alimentarne la qualità produttiva. Il pubblico ha creato il contenitore e ha messo mano al bilancio per dare il segnale e per convincere anche (soprattutto) gli investitori privati ad intervenire in quella determinata comunità produttiva. In altri termini: il pubblico si è ritagliato – in tempi di spending review – un ruolo di garanzia proprio per favorire l’accensione della macchina. Perché l’obiettivo sostanziale resta l’aggregazione delle varie componenti locali - istituzioni, banche, imprenditori (anche nelle vesti della rappresentanza categoriale) - in modo da rendersi credibili ed affidabili sul mercato degli investitori professionali (pubblici e privati, fondi e fondi di fondi). Ma c’è un passaggio preventivo da fare. Se questo tipo di finanza deve ricadere per intero sulla struttura dell’economia reale, occorre che i soggetti dello sviluppo locale si mettano d’accordo sulla base di una “carta dei valori”. Quali valori? Un paio, non di più. La capacità competitiva delle aziende che avranno accesso ai finanziamenti reperibili e la specchiata trasparenza delle proprietà e dei bilanci. Gli strumenti per accertare e certificare queste due specifiche pre-condizioni non mancano. Quello che manca, invece, è l’unità d’intenti e la capacità di elaborare una exit strategy dalla crisi in chiave esclusivamente funzionale alle dinamiche economiche e produttive del territorio. Le variabili politiche e istituzionali si confermano un fattore disaggregante, piuttosto che unificante. Ma questa è storia vecchia e – purtroppo – difficile da archiviare. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it Ps Più di una e mail mi è giunta a proposito di marziani e navicelle di extraterrestri. Confermo: iniziative che altrove sono da tempo realtà in provincia di Salerno risultano ancora materia per alieni. Naturalmente, sarei lieto di accettare prenotazioni per salire sulla navicella che prima o poi qualcuno – almeno per stato di necessità – dovrà fare decollare.


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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