Glocal di Ernesto Pappalardo
Idee nuove per attrarre capitali e business
L’atmosfera estiva produce l’effetto di rallentare le iniziative che, invece, andrebbero fin da subito messe in campo per cercare di uscire da una situazione che si basa su un’unica certezza: l’economia provinciale è ancora avvitata su se stessa. E la mancanza di liquidità cristallizza ogni cosa in un estenuante logoramento del sistema produttivo locale. Il canale tradizionale di finanziamento per le imprese fotografato dalla Banca d’Italia restituisce un’immagine nitida. Il credito bancario alle imprese si è ridotto di oltre il tre per cento (dicembre 2012/dicembre 2011), “un calo più pronunciato di quello rilevato per l’Italia”. Se, poi, scendiamo nel dettaglio dei comparti, si capisce meglio perché il concetto di “desertificazione industriale” è particolarmente appropriato. “I prestiti alle imprese manifatturiere - spiega Bankitalia - sono calati del 3,5%”. Il comparto delle costruzioni, mostra difficoltà aggiuntive. Giusto per avere un’idea della situazione: se si considera “l’intera filiera immobiliare, tra il 2007 e il 2012 il flusso di nuovi prestiti segnalati in anomalia è cresciuto di 6,6 punti percentuali, all’11,0 per cento, mantenendosi al di sopra del dato medio nazionale (salito dal 2,2 al 9,2%)”. A tirare le somme: “ (…) i mutui e gli altri rischi a scadenza, che rappresentano circa il 70 per cento dei prestiti vivi alle imprese, sono diminuiti del 6,7 per cento a dicembre 2012, riflettendo la debolezza dell’attività d’investimento”. Anche “le aperture di credito in conto corrente hanno decelerato (1,7 per cento, dal 2,4)”. Per non parlare del costo del denaro. Secondo le imprese - spiega Bankitalia - “il livello dei tassi d’interesse e dei costi accessori applicati hanno rappresentato i principali fattori di inasprimento dei criteri d’offerta”. Perché? Basta dare un’occhiata alla parabola dei tassi d’interesse: sui prestiti a breve termine sono arrivati al 7,6 per cento - media regionale - a fine 2012 e sulle operazioni a scadenza alle imprese si sono attestati al 5,9 per cento (dal 5,5), “circa 1,2 punti percentuali al di sopra della media nazionale”. Di fronte a questo “affresco” che cosa resta da fare? In una regione ed in una provincia “normali” sarebbe inevitabile avviare un ragionamento sugli strumenti alternativi a quelli classici e studiare più da vicino - prendendo spunto dai casi di successo (rintracciabili, ovviamente, nel Centro Nord) - quella che si possono definire strumenti “alternativi” per le piccole e medie imprese. Bond di distretto e finanza delle reti di impresa sono riferimenti centrali da questo punto di vista, in grado di cambiare in meglio il rapporto tra banche ed aziende. In questa prospettiva è il territorio nell’insieme delle sue componenti che deve porsi il problema di autofinanziarsi e di “vendersi” sui mercati degli investitori istituzionali (e non). E non si tratta soltanto di creare un “paniere” di imprese (trasparenti) che insieme chiedono credito. Questa è la parte in un certo senso più scontata, qualora fossero rintracciabili i segnali di un’adeguata cultura finanziaria nel tessuto produttivo locale. La cosa più difficile – ma più importante – è , invece, individuare idee di business concrete, realistiche, che abbiano appeal sufficiente per attrarre anche in piccola parte i tanti capitali che vagano per il mondo a caccia di buone remunerazioni. Un esempio banale: la riqualificazione dell’offerta infrastrutturale alberghiera in posti tra i più belli del pianeta (Costa d’Amalfi, Cilento inteso anche come area del Parco) non si può configurare come un vero e proprio “moltiplicatore” di investimenti appetibili? Non è molto meglio quest’opzione piuttosto che aspettare il decollo di distretti turistici - questi sì - tutti da inventare sul piano della ricaduta concreta in termini di ricavi finanziari? Prima o poi anche nei nostri territori bisognerà fare i conti con questi percorsi obbligati, gli unici che possono favorire l’immissione di nuova liquidità senza zavorrare ulteriormente banche ed imprese. Ma sembra proprio che di tale sostanziale questione dovrà incaricarsene un drappello di extraterrestri. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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