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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • E NELLE “AGENDE” ORA RISPUNTA IL TERRITORIO

    La stagione estiva - tra i tanti pregi - asseconda anche la tendenza a ragionamenti un po’ più “larghi”, meno appiattiti sulla strumentalità del presente. Addirittura i partiti – in qualche caso – danno la sensazione di sapere ancora guardare a qualche centimetro dal proprio naso. Se non altro perché – dal loro punto di vista – l’anno prossimo sarà l’anno delle elezioni europee e (forse) anche del voto amministrativo a Salerno. Sempre che non ci si ritrovi con continuità amministrative non del tutto inaspettate. Non sarà, quindi, proprio del tutto un caso se anche a livello locale si sente di nuovo parlare di progettualità; identità perdute e – perché no – da riscoprire; programmi e, perfino, di territorio inteso nella sua valenza di produttore principale di valore aggiunto (se adeguatamente curato ed accudito). Tra “agende” e “memorandum”, è evidente che la politica – anche quella “strutturalmente” lontana dalla quotidianità del mondo del lavoro e delle imprese – si rende conto che sarà davvero difficile presentarsi in giro senza contenuti minimamente proponibili all’attenzione di un blocco sociale - questo sì - unito dal filo rosso di una crisi che ha travolto tutti: lavoratori, aziende, famiglie, professionisti, istituzioni, corpi intermedi. Insomma: il conto di almeno trent’anni di inconcludenza partitico-amministrativa è particolarmente salato. Al punto che non regge più alcun effetto-annuncio. E’ il momento di posare sul tavolo le carte, di leggerle e di andare a vedere i tanti bluff di cui è costellata la storia recente e meno recente di questa provincia. Il declino dell’economia salernitana è ben precedente alla grande crisi. Già prima del 2008 l’assenza di un’idea e di un modello di crescita effettivamente praticabile evidenziava la grave responsabilità – non solo della politica e delle istituzioni, ma anche di altre parti in campo – di avere abbandonato troppo presto al suo destino il manifatturiero. Senza capire che affidarsi al turismo ed ai servizi probabilmente non sarebbe bastato a produrre il reddito necessario. C’è voluta la doppia ondata recessiva per ristabilire un principio oggi ritenuto ovvio: senza l’industria (quella di qualità ed attenta all’impatto ambientale) non si riesce a rimettere in moto la dinamica produttiva. Anzi, si corre il serio rischio di rompere gli equilibri di una sana convivenza sociale. Ora - finalmente - ritornano, sebbene in forme ancora tutte da verificare sotto il profilo della loro efficacia, concetti che possono smuovere le acque della palude nella quale siamo precipitati: identità, sviluppo, territorio. La strumentalità di questo atteggiamento da parte della politica è un dato di cui tenere conto, ma è ancora più importante che categorie produttive e sindacati colgano l’occasione per richiamare con forza l’attenzione su quelle poche priorità che possono fare la differenza. Quali? Basta soffermarsi su qualche passaggio della recente analisi della Banca d’Italia (L’economia della Campania/Numero 16 - giugno 2013). La “ricetta” è descritta in maniera semplice semplice. Gli unici segnali di vitalità del tessuto produttivo provengono da quelle aziende che manifestano una maggiore propensione all’export e da quei “cluster” che vengono definiti “agglomerazioni industriali”: territori che esprimono una forte specializzazione accogliendo un numero elevato di imprese che operano nello stesso segmento. I settori? Anche questi ben identificati. A livello provinciale la filiera dell’agroindustria (ortofrutta nella Piana del Sele, alimentare con specifica predominanza delle conserve nell’Agro Nocerino Sarnese) risulta l’asset trainante. Il riscontro arriva dai dati sull’export: si è “protratta” l’espansione delle esportazioni dell’industria alimentare, specie nei principali sottosettori merceologici della regione (4,9 per cento nelle conserve). Con la buona notizia che la crescita di questo comparto si è concentrata soprattutto nei mercati asiatici che hanno assorbito lo scorso anno il 13,7 per cento del totale (oltre quattro punti percentuali in più rispetto al 2007), superando per la prima volta i mercati americani (13,2 per cento). E’ chiaro, quindi, che non c’è proprio niente da inventare. Basterebbe soltanto mettere nero su bianco le cose da fare. Tutti insieme. Per evitare che nei prossimi dodici mesi le parole chiave del destino di questa provincia si trasformino per l’ennesima volta in slogan da campagna elettorale. Con tanti saluti all’identità ed allo sviluppo del territorio.


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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