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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Imprese, marziani e sviluppo “collaborativo”

    Il persistere di una situazione di grave crisi economica avrebbe dovuto imporre da tempo ai vari livelli istituzionali decisioni straordinarie e, soprattutto, rapide. Si continua, invece, a non volere prendere coscienza che il tempo degli annunci, dei “percorsi”, degli obiettivi ( a quanti mesi? A quanti anni?) è finito da un pezzo. Ogni giorno è possibile leggere report ed analisi semplicemente inquietanti. Quello, per esempio, di Unioncamere di lunedì 3 giugno. “Il bilancio della produzione manifatturiera nazionale del primo trimestre 2013 segna, in sintesi, una pesante riduzione del 5,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con punte del -6,5% per le imprese con meno di 50 addetti e del -7,2% per l’artigianato. E pesa come un macigno soprattutto sulle regioni del Mezzogiorno dove il calo della produzione raggiunge il 9% con la punta estrema della Calabria che tocca il -15,6%”. Tra le spiegazioni più evidenti: “Non accennano a riassorbirsi - evidenzia Unioncamere - gli effetti negativi sull’economia reale che le misure di contenimento del deficit stanno producendo sull’intera area euro: per le fonti della domanda, infatti, non si intravede un chiaro percorso di recupero”. Non si tratta, purtroppo, di una compressione settoriale o limitata ad alcune specifiche filiere produttive. Sempre Unioncamere: “Tutti i comparti sono coinvolti dalla discesa dei volumi prodotti: la filiera del legno-arredo (-8,3%) e quella delle altre industrie manifatturiere (-7,8%) sono le più penalizzate, risentendo più marcatamente delle difficoltà di tutte le attività legate all’edilizia. Le industrie dei metalli e la meccanica riportano entrambe battute di arresto superiori al -5%, soglia su cui si ferma il calo del sistema moda. Risentono meno degli effetti del ciclo avverso le industrie elettriche ed elettroniche, l’alimentare e la chimica, ma le flessioni sono comunque superiori al 2,4%”. Questo il quadro reale della situazione che – manco a dirlo – vista da Sud è ancora più complessa e difficile. Siamo, quindi, nel pieno di un circuito negativo: tagli, mancata spesa dei fondi Ue, loro nebulosa (ri)programmazione, effettivo pericolo di perdita dei finanziamenti disponibili, proteste dei Comuni ed aumento della pressione fiscale. Alla fine, per tappare le falle si manovrerà su aliquote ed addizionali: a pagarne le conseguenze saranno i soliti noti. Nelle aree più sviluppate, intanto, si danno da fare. Elaborano e mettono in campo strumenti di finanza alternativa per le Pmi - con le banche che addirittura propongono e sostengono le soluzioni innovative (bond di territorio, ma anche molto altro, nella logica di convincere i capitali ad investire su quanto esprimono di buono i tessuti produttivi locali) – e, soprattutto, provano a concretizzare (loro che sono i primi in Italia) modelli di crescita avanzati, che restano l’unica alternativa al degrado strutturale di intere aree del Mezzogiorno. Sull’inserto “La lettura” del Corriere della Sera (domenica 2 giugno) Antonio Tencati (Università di Brescia) ha ribadito alcuni concetti dei quali si dovrebbe fare tesoro in Campania e nell’intero meridione. “L’economia – ha spiegato Tencati – è e sarà sempre più economia di network locali, nodi di grandi reti globali. Solo lavorando sui territori, per attivare mirate forme di collaborazione tra imprese, attori pubblici società, si può pensare di affrontare il confronto internazionale e recuperare la via dello sviluppo”. Il ragionamento si intreccia, ovviamente, con la necessità di impostare una chiara politica industriale nazionale basata sulla valorizzazione dei sistemi territoriali. Tencati è un sostenitore della “filosofia” dell’impresa “collaborativa”: “Un modello – ha scritto su “La lettura” – che ha nelle relazioni con i differenti portatori d’interesse il fattore strategico cruciale. Essa non punta a sfruttare i componenti di questa rete (lavoratori, clienti, fornitori, comunità, soggetti pubblici, ecosistemi) per massimizzare i profitti, ma collabora con loro per garantire processi di creazione del valore ampi, condivisi, sostenibili”. E questo processo passa attraverso la “creazione di nuovi paradigmi manageriali”. Ma questi discorsi nelle “roccaforti” dell’assenza di capitale sociale risultano alquanto “lunari”. Anche se – prima o poi – almeno un paio di marziani che affronteranno la “prova” di smuovere le acque si dovrà trovarli anche da queste parti. Se non per intelligenza, almeno per estrema necessità. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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