Glocal di Ernesto Pappalardo
Ma non è tutta "colpa" di Pd e Pdl
Per tutta la settimana abbiamo assistito al maldestro tentativo dei partiti di “interpretare” il voto amministrativo in provincia di Salerno in modo da offrire la lettura meno dannosa per il proprio schieramento. Pd e Pdl, insomma, hanno provato a dimostrare che hanno centrato entrambi un traguardo (tutto sommato) positivo. Magari uno sforzo di verità in più avrebbe consentito di nutrire qualche dubbio in meno sulla difficoltà di uscire da una situazione di sostanziale insostenibilità dello scenario politico a livello locale. Partiamo dalle vicende del Pd. Antonio Polito sul Corriere della Sera (mercoledì 29 maggio) ha spiegato che questo partito, nonostante tutto, “resiste”. “Pur nella crisi – ha scritto Polito – dimostra di essere fatto di un materiale che è facile da piegare, ma difficile da spezzare: il radicamento territoriale, ereditato dal Pci e dalla Dc, e una rete di amministratori locali credibili o esperti”. Poi Polito ha messo il dito nella piaga: “Una cosa sono i trecento dirigenti che ne combinano di tutti i colori a Roma. Un’altra i tre milioni di elettori che corrono alle urne qualsiasi cosa accada a Roma, questo lo zoccolo duro del partito”. Insomma - per Polito - il Pd “dispone degli elettori più militanti, fino al limite del masochismo”. Fatte le dovute proporzioni, anche in provincia di Salerno la militanza del Pd appare di gran lunga più vitale ed attiva della dirigenza. Se è abbastanza palese che il “centrosinistra non c’è più in provincia di Salerno” (come certificato in diretta televisiva dal segretario provinciale Landolfi e dal neoparlamentare Simone Valiante), è chiaro che è proprio questa circostanza ad evidenziare la necessità di interrogarsi sull’indispensabile ripensamento del percorso che il Pd dovrà compiere per recuperare consensi principalmente al di fuori della città capoluogo. Probabilmente si dovrebbe tentare di rigenerare il gruppo dirigente provinciale valorizzando le espressioni più significative della militanza nelle varie zone della provincia; forse sarà il caso di non archiviare frettolosamente le coalizioni possibili nel centrosinistra soprattutto nel momento del voto amministrativo; potrebbe essere necessario recuperare il senso di una direzione politica più collegiale e partecipata ascoltando i territori e puntando a candidature effettivamente condivise (al proprio interno prima di tutto). Per quanto concerne il centrodestra, invece, il dato di riferimento è abbastanza lampante: senza la frattura tra Pdl e Fratelli d’Italia Sica e Aliberti avrebbero vinto al primo turno, con buona pace del Pd. Anche in questo caso si è preferito tendere i muscoli e contarsi per pesare meglio (forse) il proprio consenso anche in sede regionale e nazionale. A quali risultati porta il permanere della divisione Pdl-Fdi? Si tratta di una “frattura” che in provincia di Salerno ha un peso maggiore in considerazione della diffusa leadership dell’ex presidente della Provincia Edmondo Cirielli. L’area moderata, che potrebbe accogliere vaste fette di elettorato centrista (cattolico, liberale e, comunque, non strettamente legato all’originario bacino elettorale di Forza Italia ed An), non riesce a compiere lo scatto di “qualità” politica che da tempo sembra preannunciare. Troppe divisioni, antichi e perdenti personalismi, talvolta respiro corto nell’elaborazione di una progettualità programmatica indispensabile per ampliare la platea di simpatizzanti e potenziali elettori. Per non parlare della “lontananza” dal territorio del vero catalizzatore di consensi: l’ex ministro Mara Carfagna, ben proiettata sullo scenario della politica nazionale. Naturalmente, il timing adesso è già impostato su due appuntamenti molto importanti: le elezioni europee e, soprattutto, le comunali nella città di Salerno. A giudicare dalla mole di cose da rimettere a posto – da una parte e dall’altra – il tempo a disposizione non è affatto congruo. La “pietrificazione” dell’offerta politica appare una certezza acquisita, più che una variabile possibile. Ma le “colpe”” di questo desolante scenario non sono attribuibili soltanto ai partiti. All’appello dei “buoni esempi” mancano quasi tutte le componenti che contribuiscono alla creazione del valore sociale di un territorio. Ancora una volta diventa difficile distinguere dove finisce il limite dei partiti e dove, invece, inizia il deficit di responsabilità civica degli altri attori locali che - alla fine - subiscono le conseguenze di uno modo di procedere che non genera minimamente crescita e sviluppo. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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